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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 08:30.

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Processo breve, bagarre alla CameraProcesso breve, bagarre alla Camera

ROMA. Questa è la cronaca parlamentare di una giornata cominciata male e finita peggio. Con il presidente della Camera costretto a sospendere la seduta dell'aula sul «processo breve» di fronte a un ministro della Difesa che, più volte richiamato all'ordine per atteggiamenti poco ortodossi verso l'opposizione, si gira verso lo scranno più alto e, con l'indice davanti alla bocca, gli fa il gesto di star zitto. «Non le consento di insultare la presidenza» urla Gianfranco Fini a Ignazio La Russa.

Ma il dito del ministro resta provocatoriamente incollato alla bocca. Fuori, a due passi dal portone di Montecitorio, qualche centinuaio di persone continua a protestare per il blitz della maggioranza sul «processo breve»; dentro, l'aula sembra un'arena. I due ex compagni di partito si guardano fissi negli occhi per qualche secondo. Dalla Tribuna stampa si coglie un brevissimo scambio di battute: chi è lì vicino dice di aver sentito La Russa indirizzare a Fini un «Vaffanculo» e il presidente rispondergli «Curati». Più tardi il ministro negherà e in serata telefonerà al presidente della Camera per scusarsi. Ma la ferita resta. «Non è stata un'offesa alla persona, ma all'istituzione», gli dirà il presidente della Camera al telefono. Un'offesa «grave», di cui La Russa dovrà rispondere. L'opposizione ne chiede le dimissioni e la maggioranza si spacca: Claudio Scajola e altri "scajoliani" gli dicono che «Non si possono fare queste cose in Parlamento» e molti berlusconiani sono infuriati perché la sortita del ministro ha prodotto un effetto paradosso: lo stop della corsa del «processo breve» verso il voto, previsto entro oggi. Tanto che in serata la maggioranza si riunisce e, con il ministro della Giustizia Angelino Alfano, discute di come metterci una pezza. L'ipotesi della fiducia, scartata nel pomeriggio, riprende quota.

La miccia della tensione si accende in mattinata, con la decisione di invertire l'ordine del giorno per dare la precedenza al «processo breve», il ddl destinato a garantire al premier la morte prematura dei suoi processi, primo fra tutti il processo Mills che, con la norma sul taglio della prescrizione per i reati commessi da incensurati, si chiuderà a fine di maggio. L'inversione dei lavori è approvata con uno scarto di 15 voti, pochi meno dei ministri e sottosegretari presenti in aula. «Mi sento umiliato e indignato - dice Italo Bocchino (Fli) -: mentre i leader europei discutono cosa fare in Libia e ci sbattono la porta in faccia, il ministro degli Esteri è qui». In serata, lo ripete il leader del Pd Pierluigi Bersani: «Con tutto quel che sta succedendo...». «Vergogna!», ripetono dai banchi dell'opposizione. E gli altri: «Buffoni!». «Servi!», ribattono dal centrosinistra, in particolare all'indirizzo della Lega. «Cosa andrete a dire ai popoli padani a cui avete promesso sicurezza? – chiede Dario Franceschini – Che volete liberare i criminali?». Il leader dell'Udc Pierferdinando Casini ricorda ad Alfano che si era impegnato a «sgombrare il campo da leggi ad personam per aprire il dialogo sulla giustizia. E invece, ecco spuntare le solite leggi ad persona. Vergona!». Risposta di Alfano: «Un'indignazione programmata». A fine mattinata, il Pd annuncia «un presidio» davanti a Montecitorio per protestare contro «le forzature del Pdl e della Lega». La maggioranza, in aula, boccia tutte le richieste dell'opposizione. Si parla di possibile fiducia sul ddl, ma in una riunione pomeridiana il governo la esclude: è certo di approvare il «processo breve» tra oggi e domani, al massimo la prossima settimana.

Nel pomeriggio, La Russa chiede la parola. È nervoso. Dice di essere stato informato da Daniela Santanché di «fatti gravi» fuori Montecitorio, di semi-aggressioni e lancio di monetine. «Sono uscito e ho visto, a due metri dall'ingresso, gente con intenti intimidatori e offensivi». L'opposizione rumoreggia. «Una persona mi è venuta incontro. Era l'organizzatore dei fischi a Berlusconi il 17 marzo». Aumentano le proteste dell'opposizione. Che si sente accusare di essere «complice dei violenti». «Io non ho avuto paura - dice La Russa -, voi al mio posto sareste scappati come conigli!». È la bagarre. Franceschini prende la parola: si chiede come mai, proprio in questa manifestazione, i contestarori siano potuti avanzare fino all'ingresso di Montecitorio. «Di solito chi protesta resta dietro le transenne. Chi ha disposto questo? Che dice il ministro Maroni? Come mai La Russa casualmente non ha mancato di uscire dal portone principale per essere vittima di aggressione?». Il ministro si sente «provocato»: si alza in piedi e comincia ad applaudire in modo ostentato e aggressivo verso l'opposizione. Fini richiama tutti e, più volte ma inutilmente, La Russa. Che gli fa cenno di star zitto... La seduta è sospesa, ma l'aula resta piena di gente e di tensione. Fuori, i manifestanti continuano a protestare. A un poliziotto chiediamo come mai, stavolta, non li hanno tenuti oltre le transenne, come mai non ci sono i soliti furgoni della polizia. Lui allarga le braccia, imbarazzato: «Non saprei... Forse c'era qualche emergenza da qualche altra parte...».

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