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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2011 alle ore 06:39.

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L'India - la Repubblica indiana - è in vendita: «E all'asta partecipano pochi e potenti individui, corporations, lobbisti, burocrati e giornalisti», scriveva nel novembre scorso il settimanale Outlook. Erano i giorni in cui la stampa pubblicava i testi delle telefonate tra Niira Radia, consulente aziendale, e i suoi importanti clienti, i grandi nomi dell'industria indiana: i Tata, i fratelli Ambani. Ministeri descritti come sportelli Bancomat, il Congress Party di Sonia Gandhi come «il nostro negozio», a disposizione di un'oligarchia selezionata. «Ogni cosa, dagli incarichi di governo alle risorse naturali, ora è disponibile: al giusto prezzo», commentava Outlook.
Da allora, l'eco di uno scandalo non riesce a spegnersi, e già ne esplode un altro. Dagli appalti distorti per i Giochi del Commonwealth alle vendite sottocosto delle licenze telefoniche di seconda generazione, dal mercato dei voti nel Lok Sabha, il Parlamento di New Delhi, a quello degli appezzamenti di terra a uso industriale, liquidati all'occasione a prezzi di favore. È lo sfondo da cui emergono analisi preoccupate sul futuro del capitalismo indiano: influenti dinastie allacciate al potere politico, grandi ricchezze concentrate in poche mani. L'India sta andando nella direzione della Russia, ha dichiarato di recente Jayant Sinha, managing director del fondo di investimenti Omidyar Network.
Raghuram Rajan dell'Università di Chicago, ex chief economist al Fondo monetario internazionale, è d'accordo con Sinha nel temere il declino verso un'oligarchia iniqua: «Le fonti principali delle grandi ricchezze in India oggi non sono i miliardari del software, che si sono arricchiti lavorando duro». Le fortune degli oligarchi nascono prevalentemente da tre fattori - la terra, le risorse naturali e i permessi governativi - e la maggior parte dei miliardari d'India ha beneficiato di accordi di favore nell'edilizia, il settore minerario, le telecomunicazioni, l'energia. «Troppe persone si sono arricchite perché vicine al Governo - dice Rajan -. Se la Russia è un'oligarchia, tra quanto tempo dovremo chiamare l'India allo stesso modo?».
I due Paesi si assomigliano, se si considerano alcune cifre. Decima economia al mondo la Russia per Pil nominale, (1.477 miliardi di dollari), undicesima l'India (1.430 miliardi): i miliardari russi sono 87, 69 gli indiani, in entrambi i casi la loro ricchezza equivale a circa un quinto del Prodotto interno lordo. Gli economisti temono che il paragone si estenda alla diffidenza degli investitori stranieri, preoccupati in Russia dalla mancanza di trasparenza e di uno stato di diritto certo. «L'India rischia di essere trattata allo stesso modo - avverte Sinha in un'intervista ad Outlook - faticheremo ad attirare capitale. L'oligarchia verrà a costarci molto».
Si potrebbe fissare anche un'unica data di nascita per le riforme economiche indiane e quelle russe, il 1991: la fine del comunismo a Mosca, a Delhi il tramonto del cosiddetto Licence Raj, l'impero della regolamentazione. Sono i protagonisti a cambiare: nel capitalismo selvaggio della corte di Boris Eltsin le proprietà dell'Urss finirono in mano a dirigenti del partito, manager di Stato o avventurieri spregiudicati, comunque legati a filo doppio al potere. I primi nomi dell'industria indiana invece sono imperi di famiglia, grandi dinastie: i Birla, i Bajaj e i Goenka che ancora costellano le classifiche dei più ricchi d'India, come un tempo i Rockefellers e i Carnegies in America. Ricchezze «ereditate e potenziate», le descrive nei suoi elenchi la rivista Forbes, ricchezze cresciute insieme all'economia indiana ma - liberalizzazione o no - rimaste appannaggio di pochi, gli eredi dei grandi patrimoni a cui si sono aggiunti i capitalisti della "seconda ondata": dopo l'energia, l'information technology e la siderurgia, questa è l'ora della farmaceutica e dell'immobiliare. La terra, appunto, che con le giuste connessioni può creare una fortuna in un momento: «instant billionaires», li chiamano in India.
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LA SECONDA GENERAZIONE

Non solo software
Nella classifica dei 69 miliardari d'India, i primi posti vanno alle grandi dinastie o agli industriali del software come Azim Premji: un settore competitivo, fatto da imprenditori partiti da zero, generalmente considerati lontani dalla corruzione. Nell'elenco però cominciano ad apparire le grandi fortune di una seconda generazione di miliardari: Vijay Mallya (a sinistra), n.44 nella lista di Forbes 2010, una fortuna da 1,5 miliardi di dollari e un impero che va dalla Kingfisher Airlines alla farmaceutica; il suo grande rivale Naresh Goyal (al centro, n.52 con 1,2 miliardi di dollari), fondatore della Jet Airways. Kushal Pal Singh (a destra), n.8 con una fortuna di 9,2 miliardi, è al timone della prima compagnia immobiliare indiana, in recupero dopo gli anni della crisi. La terra, le risorse naturali e le licenze governative sono considerate l'origine dell'oligarchia indiana nel real estate, le telecomunicazioni, l'energia e il settore minerario

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