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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2011 alle ore 09:45.

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Forze armate americane aiutano i giapponesi nella ricerca dei giapponesiForze armate americane aiutano i giapponesi nella ricerca dei giapponesi

A tre settimane dalla catastrofe, con oltre 11.500 morti accertati, mancano ancora all'appello circa 16.500 dispersi: una grande operazione congiunta di tre giorni tra forze armate Usa e giapponesi (con 120 aerei, 65 navi e 24mila uomini impegnati) è stata lanciata ieri per recuperare i corpi alla deriva o sulle spiagge della costa centro-settentrionale. Non però nella zona a rischio, in un raggio di 30 chilometri da Fukushima, dove circa mille cadaveri non vengono rimossi per timori di contaminazione radioattiva.

È l'ultima dimostrazione di come la tragedia dell'11 marzo abbia avvicinato i due Paesi. Gli Stati Uniti con l'Operation Tomodachi (amicizia) hanno mobilitato fino a 18mila militari nelle attività di soccorso, senza pretendere di guidarle. «Questa non è una operazione di soccorso americana. È americana-giapponese», sottolinea il colonnello Paul "Otto" Feather, comandante del 374° Airlift Wing e della base di Yokota (poco più di 40 chilometri da Tokyo): la parola d'ordine sembra quella di evitare ogni atteggiamento che possa sembrare arrogante.
Yokota è il centro logistico da cui sono partite, tra l'altro, più di 300 missioni - per lo più con i grandi cargo C-130 - per portare generi di prima necessità alle popolazioni colpite, smistando anche aiuti internazionali e merci fornite da aziende private. «Avevamo appena finito una esercitazione di 7 giorni: quindi eravamo ancora più pronti del solito e da allora siamo operativi 24 ore su 24», spiega Feather, che subito dopo la chiusura dell'aeroporto di Narita ha concesso l'autorizzazione all'atterraggio di una dozzina di aerei civili nella sua base.

L'opinione pubblica ha potuto constatare che la presenza di circa 50mila uniformi americane sul suolo giapponese non è solo un peso finanziario (Tokyo paga il cosiddetto "budget di simpatia") e un onere gravoso per le comunità locali: può diventare un grande vantaggio in situazioni di emergenza. Lo "Zio Sam" non appare più come l'ingombrante potenza che esige la costruzione di una nuova base di aviazione a Okinawa e che su questo ha contribuito a far cadere il penultimo primo ministro, Yukio Hatoyama: è l'amico che aiuta davvero nel momento del bisogno.
Anche Yokota è un peso: non si capisce perché il comando dell'Air Force debba stare - a 66 anni dalla fine della guerra - dentro la metropoli, monopolizzando una fetta di spazio aereo che costringe i voli civili ad allungare le rotte. L'apertura della base ai jet commerciali "dirottati" dal sisma e il suo ruolo strategico nei soccorsi ne hanno rivalutato la funzione.

«Abbiamo anche mobilitato i nostri reparti speciali della base di Kadena, a Okinawa, i più esperti nel riattivare piste di aviazione, per contribuire a riaprire lo scalo di Sendai», continua Fisher, aggiungendo che sono state anche agevolate le operazioni alla centrale di Fukushima. Per esempio, è arrivato un macchinario speciale dall'Australia per sparare acqua sui rettori in surriscaldamento, ma l'attaccatura dei bocchettoni non combaciava con quella degli idranti giapponesi: alcuni airman hanno lavorato giorno e notte per trovare una soluzione. «Venerdì 11, dopo una settimana di pesante training, pensavamo al fine settimana di libera uscita in città - dice il first attendent Chris Donohoe, 26 anni dalla Pennsylvania -. Da allora siamo stati impegnati tutti i giorni, non stop».
Anche la Marina Usa è intervenuta in forze: una ventina di navi sono state mobilitate, tra cui la portaerei Ronald Reagan (a propulsione nucleare) che era impegnata al largo della Corea in manovre di avvertimento a Pyongyang. Gli Usa non hanno voluto imporsi: hanno accettato di sottostare alle regole giapponesi nei soccorsi e nella distribuzione, comprese le più assurde come quella che vieta di lanciare merci dagli elicotteri. Da ultimo, hanno offerto un robot sperimentato in Irak che può operare in contesti di alta radioattività che impediscono la presenza umana, mentre sono arrivati oggi 150 marines specializzati nella decontaminazione radioattiva.

Gli Usa sono stati l'unico Paese con cui Tokyo ha messo in piedi alcune task force congiunte - per reagire a una serie di problemi legati alla centrale - sotto un comitato di coordinamento che si riunisce ogni giorno dal 22 marzo. Certo non tutto è andato liscio: per esempio, Washington ha deciso che l'area off-limits intorno alla centrale fosse di 80 chilometri e non di 20 (più 10 chilometri di fascia di rispetto) come stabilito dalle autorità giapponesi, che si sono irritate. Nel complesso, però, l'alleanza nippo-americana esce rafforzata, mentre l'Europa appare più distante dal Sol levante.
Il risentimento giapponese verso quello che hanno considerato un allarmismo eccessivo e interessato da parte della Francia si è tradotto in un freno burocratico agli aiuti materiali che i Paesi europei offrivano. La precedenza è stata data - per chiara priorità politica - alle disponibilità manifestata dalle nazioni vicine, a partire dalla Cina: lo tsunami ha messo la sordina anche alle tensioni con Pechino.

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