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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2011 alle ore 15:54.

Poi è arrivato il patatrac. La finanza e l'economia spagnola sono uscite (o, per meglio dire, stanno ancora cercando di uscire) dalla tempesta della crisi globale con il fasciame a pezzi. La bolla immobiliare è scoppiata con fragore, la disoccupazione è da tempo al 20 per cento, il paese rimane fermo. Il premier ha affrontato i primi marosi fischiettando rassicurante e proponendo qualche nuovo progetto "zapaterista". Ma le orecchie degli spagnoli si erano di colpo fatte assai più insensibili ai visionari progetti espressi dal vocione baritonale di Bambi. Poi il presidente ha optato d'improvviso per il lacrime e sangue con una serie di iniziative legislative che, se hanno tappato qualche falla nei conti, non hanno certo garantito un surplus di affetto presso chi si è visto congelare l'aumento periodico della pensioni, sgrammare di un qualche cento euro lo stipendio oppure tagliare l'assegno per ogni nuovo nato, che era stato da poco introdotto.
Ora Zapatero, per non lubrificare con la sua presenza ingombrante una débâcle socialista alle elezioni regionali, si è visto costretto ad annunciare la sua rinuncia a correre per un comunque improbabilissimo terzo mandato. Il crepuscolo zapateriano è ora davvero alla fine. Tanto che il candidato più accreditato alla successione alla guida del partito è il ministro dell'Interno e vicepremier Alfredo Pérez Rubalcaba. Pur essendo stato negli ultimi anni un leale collaboratore di Zapatero, Rubalcaba proviene dai ranghi della vecchia guardia del Psoe e nel congresso socialista del 2000 sostenne e votò José Bono. E ora si appresta a ereditare, lui nonno (è nato nove anni prima del premier e la sua carriera nel partito risale al prezapaterismo), dal nipote Zetapé.
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