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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 18:20.
Il Qatar, che ospita una base militare americana sul suo suolo, ha avuto per lungo tempo una delle politiche estere più "creative" dell'instabile Medio Oriente. Contemporaneamente amico dell'Iran di Mahmoud Ahmadinejad e dell'Occidente, l'emirato oggi ha sposato la causa dei ribelli libici al punto da ospitare la creazione di un televisione chiamata semplicemente Libya tv, nuova voce nell'etere del Consiglio nazionale di Bengasi.
Una mossa dirompente che arriva dopo altri passi di amicizia verso i ribelli. Dopo aver inviato la sua piccola forza aerea sui cieli della Libia, ricosciuto Bengasi nella lotta per la libertà e, soprattutto, aver predisposto l'acquisto del petrolio dei ribelli, questo ricchissimo emirato del Golfo Persico sta svolgendo un ruolo più ambizioso e potenzialmente più rischioso di Stati più grandi dell'area come l'Arabia Saudita e l'Egitto, che invece restano nell'ombra, timorosi di esporsi.
Il Qatar ha deciso di combattere a fianco dei ribelli libici senza se e senza ma anche nella battaglia dell'etere, la più strategica, senza dimenticare quella più prosaica ma più redditizia dell'acquisto e della commercializzazione del petrolio libico.
Dove è stata fondata la nuova tv libica? A Suq Waqif, area trendy di Doha, dove mercoledì 30 marzo è partita l'avventura nell'etere di Libya Tv, che usa, guarda caso, un satellite francese. Direttore della tv è Mahmoud Shammam, giornalista libico rifugiatosi in Qatar.
Il piccolo emirato del Golfo Persico, una sorta di Piemonte sabaudo del Golfo, si è guadagnato un posto di primo piano nel fronte anti-Gheddafi, usando il canale al Jazeera come una clava mediatica nei primi giorni della rivolta della Cirenaica. Il 28 marzo scorso il ministero degli Esteri qatariota ha riconosciuto ufficialmente il Consiglio nazionale di Bengasi come «il solo rappresentante del popolo libico». Un passo importante (di solito si riconoscono gli Stati e non i governi) compiuto per ora esplicitamente solo da Parigi e il 4 aprile da Roma. L'astuta Doha ha scommesso sulla caduta del Colonnello e sta facendo un grosso piacere all'Occidente, che così non corre il rischio di essere accusato in Medio Oriente di fare una "crociata" contro gli arabi.
Sorvolando sull'incongruenza politica del Qatar, una monarchia assoluta, che ha sostenuto la mossa saudita in Bahrein per schiacciare le proteste democratiche della popolazione (ma non sono anche questi movimenti per la libertà nel Golfo?); sul fronte libico l'intervento del Qatar si è svolto inizialmente solo e squisatamente su un piano umanitario e sanitario.
Poi l'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani ha scelto un'interpretazione estensiva della risoluzione dell'Onu numero 1973. Una decisione presa proprio mentre la Lega Araba guidata dal prudente egiziano Amr Mussa, dopo avere chiesto agli Stati Uniti formalmente una "no fly zone" sulla Libia, ha cambiato posizione davanti ai primi bombardamenti dei caccia occidentali. Il segretario dell'Onu Ban Ki-Mmoon è stato preso d'assalto al Cairo da un gruppo di sostenitori del Colonnello. Doha invece si è unita alla coalizione occidentale, inviando un terzo della propria forza aerea sullo spazio libico. Una forza ovviamente non decisiva (come appunto i bersaglieri di Lamarmora in Crimea, appena sei Mirage francesi) ma indispensabile sul piano politico per poter parlare di alleanza non solo occidentale contro il regime del Colonello e poter fornire un posto di rilievo al tavolo della futura conferenza di pace sulla nuova Libia.
Così dal 25 marzo scorso jet qatarioti e francesi hanno preso il volo dalla base militare di Souda, Creta, con direzione golfo della Sirte. Partecipazione simbolica ma ovviamente molto gradita. Il comandante Mubarak al-Khayanin, dell'aviazione di Doha, non ha dubbi sulla bontà della scelta: «Sentivamo che la presenza di un paese arabo nella coalizione fosse importante. È vero che siamo solo un piccolo paese, ma le grandi potenze, come l'Egitto e l'Arabia Saudita, non hanno esercitato la loro leadership. Così abbiamo fatto da soli». Al momento, solo gli Emirati Arabi hanno seguito l'esempio del Qatar.
Alcuni analisti di Dubai, ritengono che «il Qatar vuole diventare un punto di riferimento, per la soluzione dei problemi regionali. Ha già fatto da mediatore in Libano e Sudan e vuole continuare a porsi come centro di raccordo tra mondo arabo e Occidente».
Non a caso l'emiro ha assunto un ruolo centrale nel vertice di Londra. Ha indicato a Gheddafi l'esilio come una soluzione che potrebbe essere ritirata a breve. Dietro l'attivismo qatariota c'è ambizione politica ma anche calcolo economico, cioè il petrolio libico. Gli insorti, dopo avere ripreso il controllo di molti pozzi, hanno annunciato un accordo con la Qatar Petroleum per la commercializzazione dell'oro nero. Doha farà da intermediario, trattando direttamente con la Agoco, compagnia esentata dalle sanzioni Onu, perché rimasta in mano ai ribelli di Bangasi. certo restano molti problemi da superare ma grazie alla no fly zone a Bengasi sono convinti di farcela a poter vendere il petrolio e a dotarsi di una tv autonoma. Una scommessa fatta all'ombra di Doha.
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