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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2011 alle ore 06:39.
ROMA
Con il via libera della Camera alla richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta nei confronti del Tribunale di Milano sul caso Ruby, la controffensiva di Silvio Berlusconi al «brigatismo giudiziario» di una parte della magistratura incamera un nuovo tassello, considerato molto importante dallo stesso premier. D'altra parte, il Cavaliere lo aveva ampiamente annunciato: al l'assalto dei pm milanesi non si sarebbe limitato a rispondere sul piano mediatico, ma con tutte le "armi" possibili, a partire dalle iniziative legislative da affiancare alla riforma costituzionale della giustizia, come il ddl sulle intercettazioni e il processo, o prescrizione, breve, su cui non intende in alcun modo "mollare".
La richiesta di sollevare il conflitto di attribuzioni è stata approvata dall'Aula di Montecitorio con 314 voti a favore e 302 contrari, mentre fuori in piazza si svolgeva la protesta del "Democrazia Day", organizzato dal Popolo Viola, Articolo 21 e Libertà e Giustizia. Anche se non ferma automaticamente il processo che si apre oggi a Milano, la richiesta è un segnale che, secondo Berlusconi, i giudici non possono ignorare. La volontà del Parlamento, a suo giudizio, dovrebbe infatti sospendere il procedimento in cui è imputato. Il premier non sembra intenzionato ad alzare i toni, come avrebbe spiegato ai capigruppo di maggioranza, riuniti a pranzo a palazzo Grazioli, avvertendo che non si deve cadere nelle provocazioni. Senza però rinunciare a criticare duramente la decisione del plenum del Csm di discutere e deliberare sulla prescrizione breve: secondo il premier è inaudito e irrituale che l'organo di autogoverno della magistratura discuta di un provvedimento della maggioranza che non è ancora legge. Anche il richiamo del Colle sulla riforma della giustizia, provvedimento che in serata è stato spedito al Quirinale e che potrebbe contenere anche la norma sulla responsabilità civile dei magistrati, non sembra essergi andato giù.
Con i suoi interlocutori, Berlusconi avrebbe sostenuto che c'è chi dovrebbe intervenire per vigilare e tutelare tutti i poteri dello Stato e non solo salvaguardare l'autonomia della magistratura, con chiaro riferimento alla pubblicazione di nuove intercettazioni sul caso Ruby. Ennesima conferma della persecuzione mediatico-giudiziaria ai suoi danni. Oggi Berlusconi non sarà a Milano per l'avvio del processo. «Anche perché è una non udienza», spiegano nel Pdl.
Pur nella sua importanza, il pronunciamento di ieri della Camera ha sollevato nuove questioni sui numeri della maggioranza e sulla possibilità che possa garantire un sostegno adeguato all'azione di governo. I 12 voti di scarto registrati in Aula sono più che sufficienti per Umberto Bossi. Ma è vero che a Montecitorio la maggioranza continua, nei passaggi determinanti (come il voto che ha respinto la sfiducia al premier, quello analogo per Sandro Bondi e la fiducia sul federalismo comunale) a fermarsi a quota 314. Ben lontano, come sottolineano nell'opposizione, da quei 330 inseguiti da Berlusconi. Ieri, anche se i banchi del governo erano al gran completo e anche i due voti dei deputati libdem Italo Tanoni e Daniela Melchiorre non hanno permesso di superare quella soglia.
Ieri l'ufficio di presidenza della Camera ha inflitto a Ignazio La Russa una censura per lo scontro verbale della settimana scorsa con Gianfranco Fini, durante la seduta sul processo breve.
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