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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2011 alle ore 06:39.

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ROMA
Se ne parlava già a settembre, ma poi non se ne fece più niente. Ieri, invece, mentre i riflettori erano puntati sulla Camera e sulle piazze romane a causa del «processo breve», al Senato è apparso il «processo lungo»: due emendamenti al ddl sul giudizio abbreviato, presentati in commissione Giustizia dal capogruppo Pdl Franco Mugnai, che vietano di utilizzare le sentenze definitive come prova dei fatti in esse accertati e danno alla difesa la possibilità di presentare liste infinite di testimoni, anche superflui, e di far ripetere prove già assunte senza che il giudice possa impedirlo. Governo e maggioranza hanno dato parere favorevole e oggi si voterà. Per Silvia Della Monica (Pd) è un'altra «norma vergogna», uno «stratagemma per evitare il processo Mills». «Altro che processo breve! - protesta Luigi Li Gotti (Idv) -. Il centrodestra vuole la morte del processo giusto e propone il processo lunghissimo».
Sembra una manovra a tenaglia: da un lato il «processo breve» con annessa «prescrizione breve» per gli incensurati, che ieri ha subìto una battuta d'arresto perché la maggioranza, visti i numeri risicati con cui è stato approvato il conflitto-Ruby, ha preferito non chiedere l'inversione dell'ordine e rinviarne il voto ad oggi o, più probabilmente, a domani; dall'altro lato il «processo lungo», cioè norme destinate a incoraggiare tattiche dilatorie, ad allungare i tempi dei processi e, quindi, a favorire la prescrizione.
Peraltro, oggi sulla «prescrizione breve» si potrebbe abbattere la scure del plenum del Csm: salvo rinvii, sarà approvato un parere negativo sul ddl, che ne segnala gli effetti nefasti sui processi in corso. A cominciare dal processo Mills, in cui il premier è imputato di corruzione giudiziaria e che, con la riduzione della prescrizione, si chiuderà a fine maggio invece che a febbraio 2012.
La bagarre dentro e fuori Montecitorio sta rendendo il cammino del provvedimento più lungo e difficile del previsto. Silvio Berlusconi e i suoi avvocati lo considerano decisivo per eliminare il processo più insidioso di quelli pendenti, perché la precedente condanna dell'avvocato inglese (corrotto) rende probabile anche la condanna del premier in veste di corruttore. Proprio per neutralizzare il peso della sentenza Mills nel processo a Berlusconi, il governo, prima, e la maggioranza, poi, hanno confezionato le norme ribattezzate «processo lungo».
Quelle norme si trovano infatti nel ddl Alfano sul «processo penale» che, dopo mesi di stasi, riparte oggi al Senato (relatore Piero Longo, che difende Berlusconi insieme a Niccolò Ghedini). Ma ieri sono state proposte anche da Mugnai, in una versione appena diversa, come emendamenti al ddl sull'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati puniti con l'ergastolo, già approvato dalla Camera. In sostanza, per utilizzare una sentenza definitiva in un diverso processo (come nel caso Mills), bisognerà citare in giudizio tutte le persone delle cui dichiarazioni si dà atto in quella sentenza. Una deroga all'articolo 238 bis approvato dopo la strage di Capaci. Inoltre, diventano insindacabili dal giudice le liste di testimoni, anche superflui. E la violazione di questo diritto dell'imputato sarà sanzionata con la nullità del processo. È il «trionfo delle tattiche dilatorie», chiosa l'opposizione. Con buona pace del processo breve.
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