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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 12:10.

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In Libia 108 missioni aeree italiane finora (senza far male a Gheddafi). Nella foto Tornado Ecr del 50/o Stormo di Piacenza e Tornado Ids del 6/o Stormo di Ghedi (Brescia), fermi nella base di Trapani Birgi, sede del 37/o Stormo dell'Aeronautica (Ansa)In Libia 108 missioni aeree italiane finora (senza far male a Gheddafi). Nella foto Tornado Ecr del 50/o Stormo di Piacenza e Tornado Ids del 6/o Stormo di Ghedi (Brescia), fermi nella base di Trapani Birgi, sede del 37/o Stormo dell'Aeronautica (Ansa)

Le forze aeree italiane di Aeronautica e Marina hanno raggiunto ieri le 108 missioni sulla Libia dall'inizio dell'intervento internazionale, il 19 marzo scorso, gestite inizialmente dall'operazione "Odyssey Dawn" poi evoluta in "Unified Protector" a guida NATO. Si tratta di meno del dieci per cento delle 1.170 sortite aeree effettuate dalle forze della Nato dal 31 marzo a oggi, percentuale che scende sotto il 5 per cento considerando anche le missioni aeree effettuate della Coalizione negli ultimi dodici giorni del mese scorso.
Nella prima operazione gli assetti aerei resi disponibili dall'Italia erano otto, quattro F16 e quattro Tornado.
Successivamente i quattro F16 sono rientrati sotto controllo nazionale e, contestualmente, sono stati messi a disposizione della Nato quattro Eurofighter 2000 e quattro AV-8B Plus della Marina Militare imbarcati sulla portaerei Garibaldi, portando a dodici il totale degli aerei messi a disposizione dell'Alleanza Atlantica. Nelle ultime ventiquattro ore sono state effettuate otto missioni. La prima e la quarta condotte da una coppia Eurofighter Typhoon con funzioni di sorveglianza aerea. La seconda, la terza e l'ottava da due Tornado con compiti di ricognizione. La quinta, la sesta e la settima da due AV-8B Plus adibiti a difesa aerea e ricognizione.

Il contributo militare italiano non deve aver impressionato particolarmente Muammar Gheddafi dal momento che in nessuna missione sono stati sganciati missili o bombe. Per scelta politica l'Italia effettua solo missioni di ricognizione e sorveglianza dello spazio aereo per assicurare il rispetto della "no-fly zone". Compito facilitato dall'assenza di velivoli libici, tutti distrutti o mantenuti prudentemente a terra. Nelle prime fasi dell'operazione i Tornado Ecr hanno sorvolato la Libia armati di missili anti-radar Harm ma, secondo il ministero della Difesa, nessun ordigno è stato sganciato perché nessun radar guida-missili è stato rilevato. L'Italia, come molti altri Paesi che partecipano all'operazione contro la Libia, non rende disponibili i suoi velivoli per l'attacco alle forze terrestri di Gheddafi, incursioni calate bruscamente di numero dopo il ritiro dei jet statunitensi ma sempre più indispensabili per evitare la disfatta dei ribelli ormai allo stremo a Misurata e braccati dai soldati governativi sul fronte di Agedabia.
Il governo italiano (che sul piano diplomatico ha riconosciuto ufficialmente il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi ipotizzando con il ministro degli esteri, Franco Frattini, l'invio di armi agli insorti) potrebbe essere chiamato presto a decidere un incremento degli aerei da combattimento e l'autorizzazione a bombardare. Una richiesta arrivata nelle ultime ore dall'Alleanza atlantica, dagli Stati Uniti e dai ribelli di Bengasi. Il rappresentante italiano in Cirenaica, Guido de Sanctis, è stato convocato ieri insieme ai colleghi britannico e francese dal responsabile della politica estera del Consiglio nazionale di transizione, Ali al Isawi.

L'esponente del Cnt ha detto chiaramente che le forze di Gheddafi si sono avvicinate e possono puntare su Bengasi chiedendo alla Nato di intensificare i raids aerei sulle truppe del raìs. Sollecitazioni affinché l'Italia svolga un ruolo realmente bellico sono arrivate anche dal Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che ha telefonato al ministro degli Esteri Franco Frattini. L'Italia potrebbe mettere a disposizione altri bombardieri Tornado, aerei da attacco Amx e gli AV-8B della Marina, per un totale di una quarantina di velivoli. Una forza superiore a quella messa in campo dai francesi (33 aerei in parte imbarcati sulla portaerei De Gaulle) e dai britannici (20 aerei schierati sulla base pugliese di Gioia del Colle). La richiesta degli alleati potrebbe trovare forti resistenze politiche tenuto conto che il premier Silvio Berlusconi e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, hanno più volte annunciato che gli aerei italiani non bombarderanno la Libia.
Pressioni sull'Italia giungono anche da Londra, che vuole una maggiore condivisione dei compiti di attacco al suolo ai quali sono stati dirottati anche quattro caccia Typhoon della Royal Air Force che al momento dedica solo 4 velivoli ai compiti di pattugliamento e 16 ai raids al suolo.
Oltre a Francia e Regno Unito solo Danimarca, Canada e Norvegia ( per un totale di 70 velivoli, metà dei quali impiegabili per l'attacco al suolo) hanno deciso di prendere parte ai bombardamenti che si fanno sempre più complicati per il rischio di uccidere civili o gli stessi insorti come è accaduto già in tre occasioni nell'area di Brega. ''I nostri avversari stanno imparando'', ha detto una fonte militare britannica. ''Il regime ora sta usando camion simili a quelli dei ribelli e posiziona i suoi tank vicino a edifici civili: distruggerli significa correre un grosso rischio''.

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