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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 19:02.

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Vittorio Arrigoni in una foto d'archivio (Afp)Vittorio Arrigoni in una foto d'archivio (Afp)

Vittorio Arrigoni è stato giustiziato dai suoi sequestratori, un gruppo salafita attivo nella Striscia di Gaza. Il corpo senza vita del cooperante italiano è stato ritrovato qualche ora dopo l'annuncio del suo rapimento, il primo di uno straniero nella Striscia dopo la presa del controllo del territorio da parte di Hamas nel giugno 2007. Le autorità di Hamas hanno promesso di «consegnare» alla giustizia gli autori di questo «atroce crimine».

Due uomini, presunti membri del gruppo di sequestratori che ha rapito e ucciso Arrigoni, sono stati arrestati dalle forze di Hamas, che stanno "ricercando il terzo uomo", scrive stamane il sito online del quotidiano israeliano Haaretz.

Il messaggio di Napolitano
«Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili». È quanto scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato alla signora Egidia Beretta, la madre di Vittorio Arrigoni. «Ho appreso con sgomento - afferma - la terribile notizia della vile uccisione di suo figlio Vittorio a Gaza. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. La comunità internazionale tutta è chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la Regione. Esprimo a lei e alla sua famiglia, in quest'ora di grande dolore, i sensi della mia più sincera e affettuosa vicinanza e del più grande rispetto per il generoso impegno di suo figlio».

La cronaca
Il cadavere del cooperante italiano è stato rinvenuto in un quartiere nord occidentale della Città di Gaza, rendono noto i servizi di sicurezza di Hamas, che hanno vietato l'accesso ai media. Le forze di sicurezza della Striscia, «dopo aver individuato uno dei membri del gruppo», avrebbero tentato un blitz per liberare l'ostaggio, che invece era già stato giustiziato all'interno del covo dei salafiti. Gli uomini della sicurezza «hanno trovato il corpo dell'ostaggio ucciso già da diverse ore in modo atroce, secondo il rapporto del medico legale», prosegue il portavoce del ministero degli Interni di Hamas, Ihab al-Ghussein. «I primi elementi raccolti indicano l'intenzione dei rapitori di uccidere, poiché l'ostaggio è stato giustiziato poche ore dopo il sequestro».

Il pacifista italiano viveva a Gaza dal 2008, aveva 36 anni, era attivista ed è stato giornalista per il Manifesto durante l'operazione Piombo Fuso, scriveva sul blog http://guerrillaradio.iobloggo.com.

Il video
Vittorio Arrigoni appare bendato e con evidenti segni di violenza sul lato destro del volto nel video postato su Youtube da «ThisisGazaVoice». Il volontario italiano, con indosso una maglia nera, sembra avere le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Sul viso, tracce di sangue che partono da sotto la benda nera che gli copre gli occhi. Una musica copre il sonoro del video, mentre in sovrimpressione appare una scritta in inglese che recita: «Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo». Al termine del filmato scorrono scritte in arabo con la data di ieri.

La galassia salafita
Ispirati da Osama bin Laden ma non direttamente collegati ad Al Qaida, i salafiti sono estremisti sul piano religioso e politico e in concorrenza con Hamas, che giudicano troppo morbido nell'applicare la sharia, estraneo all'ideale del Califfato mondiale predicato da bin Laden e troppo prono al compromesso politico-militare. La galassia salafita, di cui una nuova sigla ha rivendicato il rapimento del volontario italiano Vittorio Arrigoni, ripropone lo spettro di una realtà che negli ultimi anni ha dato concreti (e cruenti) segnali di espansione nei Territori. Un anno fa un portavoce del movimento salafita Abu al-Hareth affermò che nella Striscia di Gaza Al Qaida «può contare su 11 mila sostenitori».

La consistenza delle fazioni che lo compongono non è facile da determinare. Gli analisti locali concordano sul fatto che si tratti di soggetti ancora largamente minoritari rispetto a Hamas, che dispone di almeno 25mila uomini armati, controlla sostanzialmente il territorio della Striscia e sembra godere tuttora di un consenso popolare abbastanza diffuso. Ma se alcune sigle appaiono gusci vuoti, altre raccolgono già decine se non centinaia di adepti votati alla morte, propria e altrui: inclusi miliziani ultrà fuoriusciti da Hamas poiché delusi dai «compromessi» imputati all'ala politica del movimento.

Con alcuni di questi "deviazionisti" Hamas è parso voler stabilire in passato un modus vivendi: per esempio con Jaysh al-Islam, legato al potente clan familiare dei Doghmush e coinvolto in operazioni congiunte come la cattura del militare israeliano Ghilad Shalit. Con i gruppi più riottosi, invece, è scoppiato il conflitto aperto, come nel caso di Jaysh al-Umma, il cui capo, Abu Hafs, è stato arrestato, e sopratutto di Jund Ansar Allah (i Guerrieri di Allah): protagonista nel 2009 di una ribellione vera e propria, con decine di mujaheddin armati nella moschea-bunker di Rafah, stroncata nel sangue da Hamas solo dopo una violenta battaglia campale di diverse ore.

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