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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:46.

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Sostegno finanziario ai ribelli libici (Afp)Sostegno finanziario ai ribelli libici (Afp)

DOHA - «La cosa più importante di questo incontro è che da oggi abbiamo un associato in più», dice alla fine Sheikh Hamad al-Thani, premier e ministro degli Esteri del Qatar. Il Consiglio nazionale libico, i ribelli di Bengasi, sarà d'ora in poi membro a pieno titolo del Gruppo di contatto. Perché il Consiglio, sottolinea Franco Frattini, è «il legittimo rappresentante della Libia».

Non era in fondo difficile arrivare a questo fra la ventina di ministri degli Esteri e rappresentanti di organizzazioni internazionali della coalizione per la Libia, riuniti ieri nella capitale del Qatar. Il problema è il passo successivo, la conseguenza naturale di questa decisione: "istituzionalizzati", i ribelli hanno diritto di armarsi ed eventualmente di liberare le parti del Paese che non lo sono e di avere una forma di autosufficienza economica. Sulla seconda il Gruppo di contatto è sostanzialmente d'accordo. Prima della guerra la Libia produceva un milione e 600mila barili di petrolio; ora 100mila. Bengasi chiede di aumentare la produzione con l'aiuto del Qatar. La comunità internazionale «studierà uno strumento finanziario» per aiutare la Libia: non l'"oil for food" come fu per l'Iraq di Saddam. Ma un meccanismo che permetta più trasparenza sull'uso dei beni libici che erano stati congelati all'inizio del conflitto. Si pensa a un trust fund in una capitale europea. La Libia ha reso noto ieri, attraverso il ministro per la Pianificazione Abdulhafid Zitni, che ammontano a 120 miliardi di dollari i beni detenuti in Paesi terzi che sono stati "congelati" per effetto delle sanzioni Onu, e ha chiesto di tornare a disporne per motivi umanitari.

Il vero problema, qui come al precedente vertice di Londra, è la definizione del diritto all'"autodifesa" dei libici. La soluzione politica negoziale è la più auspicata. Ma per quanto escluso dal futuro della Libia, Gheddafi è ancora al suo posto. L'iniziativa militare deve dunque essere intensificata, parallelamente a quella diplomatica. Esclusa la possibilità dell'intervento internazionale terrestre, non resta che aumentare i bombardamenti dal cielo e armare i ribelli. È qui che il Gruppo di contatto resta diviso. Inglesi, francesi, italiani (nonostante il parere contrario espresso ieri sera dal leader della Lega Umberto Bossi) e Qatar sono favorevoli; altri incerti; Onu e Germania contrari. Come tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite anche la 1973 sulla Libia offre molte interpretazioni. Per i sostenitori della soluzione militare, non esclude questa possibilità permettendo la «decisione politica» ai singoli Paesi. «Dobbiamo trovare uno strumento che interpreti la risoluzione Onu», dice il ministro degli Esteri Franco Frattini.

Riguardo al riarmo dei ribelli ieri le definizioni non sono mancate: «armi non letali», «mezzi per l'autodifesa». Ma per sconfiggere Gheddafi sul campo occorre altro. E serve anche intensificare i bombardamenti Nato. Lunedì il presidente del Comitato nazionale transitorio Abdul Jalil sarà a Roma per incontrare Napolitano, Berlusconi e Frattini. Soprattutto a Giorgio Napolitano, come presidente del Consiglio Supremo di Difesa, chiederà che anche l'Italia incominci a bombardare gli obiettivi militari di Gheddafi. La questione che divide profondamente Gruppo di contatto e Nato, verrà affrontata già oggi e domani al vertice dell'Alleanza Atlantica di Berlino. In particolare si chiederà agli Stati Uniti di partecipare più attivamente alle missioni militari sulla Libia.

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