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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 09:34.

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Di fronte alle tensioni che continuano a coinvolgere i Paesi deboli dell'area euro «il blocco centrale dell'Europa tiene, i problemi sono nei Paesi periferici e l'impressione di tutti i responsabili della finanza globale riuniti qui a Washington è che il rischio di contagio non ci sia».

Dalla sala della delegazione italiana del Fondo monetario, in una pausa dei lavori del G-20, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, invia un doppio messaggio di rassicurazione ai mercati. Il primo è che l'Europa "core", della quale l'Italia è parte integrante, ha una buona tenuta, secondo quanto è stato attestato nelle riunioni da tutti i leader della finanza globale.
Il secondo messaggio è che quando si fanno delle analisi comparate, come quella realizzata ai fini del monitoraggio fiscale dall'Fmi, l'Italia risulta collocata meglio di altri Paesi, anche se certamente si può e si deve fare di più.
Sul versante europeo, Tremonti, che nella mattinata aveva tenuto una lezione alla Georgetown University, spiega: «L'impressione è che le emissioni dei Paesi centrali dell'Unione monetaria siano viste come un tutt'uno, piuttosto che come emissioni di singoli Stati».

Quanto a Grecia, Irlanda e Portogallo e ai problemi dei loro titoli di Stato «l'esperienza ci dice che le cause della crisi sono diverse. In Grecia la crisi è stata legata a motivi interni, difficoltà a livello amministrativo e di funzioni pubbliche, difficoltà di bilancio legate alla raccolta delle tasse all'eccessiva evasione. In Irlanda, invece, la crisi è crisi bancaria e finanziaria e in un certo senso più sistemica. Il Portogallo appare invece una via di mezzo, più simile alla situazione della Grecia. Forse - ha concluso Tremonti - bisognerebbe chiedersi quali siano stati i criteri di valutazione in passato, a partire dall'ingresso» di questi Paesi nell'area euro.

Per la Spagna, invece, la situazione secondo il ministro è molto diversa: «Ha reagito bene, attuando un piano di riforme, ricapitalizzando le banche e intervenendo sui conti pubblici. Conta anche - ha aggiunto - il fattore delle dimensioni e il Paese si è staccato dall'area di rischio potenziale».
Ma il ministro tiene anche a sottolineare la buona collocazione italiana nel contesto internazionale e ricorda i numeri del "fiscal monitor" dell'Fmi, secondo i quali l'aggiustamento richiesto per ridurre il rapporto debito Pil al 60% nel 2030 si posiziona nel gruppo di chi deve fare gli interventi minori mentre l'incremento nel lungo termine della spesa per previdenza e salute è tra i più bassi dei Paesi industrializzati.

In base ad essi «l'Italia è messa in modo molto diverso da come ce la raccontano i pessimisti in Italia, nel confronto con altri Paesi viene fuori piuttosto bene, noi siamo delle persone serie». Poi aggiunge, rivolto a chi lo critica sul terreno dell'efficacia della sua politica economica: «L'Italia e gli italiani hanno fatto bene, con altri più chiacchieroni e pasticcioni, gente che dice: facciamo le cicale, saremmo invece potuti finire male». Secondo Tremonti «certo abbiamo dei problemi, dobbiamo fare di più ma lo stiamo facendo e lo vogliamo fare. Siamo molto più seri di tutti i polemisti e i pasticcioni che girano anche in Italia».
Ai giornalisti che chiedono se siano da condividere le priorità indicate dal direttore dell'Fmi Dominique Strauss-Kahn - «job,job,job» -, Tremonti risponde che «anche in Italia dobbiamo fare di più e stiamo facendo di più ma i numeri del Paese, attesi da molti negativi, non sono così negativi per quanto riguarda l'occupazione e la produzione. La produzione industriale, comunque, dipende anche dagli industriali». Però, conclude il ministro «non possiamo pensare che tutto il meglio sia fuori dai nostri confini, e che noi siamo il peggio, perchè non è così».

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