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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:12.

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ROMA
«Non penso sarebbe sufficiente una manovra fatta di sole semplificazioni, che pure sono importanti perché creerebbero forti spinte alla crescita del settore. Le altre due gambe che non possono mancare a questa manovra, che ormai è davvero urgente, sono la disponibilità di cassa delle opere già finanziate dal Cipe e l'immediata destinazione dei fondi Fas ai programmi infrastrutturali e dell'edilizia». Paolo Buzzetti, presidente dei costruttori dell'Ance, aspetta da mesi questa manovra sempre rinviata dal governo mentre il settore va verso i 250mila posti di lavoro persi e molte imprese sull'orlo del collasso per i ritardati pagamenti della pubblica amministrazione. Dichiara piena sintonia con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che nei giorni scorsi ha parlato di solitudine delle imprese e venerdì ha detto che la pazienza può durare ancora 15 giorni, non di più.
«Quello che aspettiamo da mesi è una manovra che serva almeno a dare ossigeno a un settore stremato e a una politica delle infrastrutture che nessuno può considerare in modo miope sia interesse solo delle imprese costruttrici, quando è interesse generale dell'intero Paese». Quello che invece Buzzetti non vede all'orizzonte è «una strategia di politica industriale per il settore, si è smesso anche di parlarne. All'orizzonte - continua Buzzetti - vediamo semmai una nuova stretta creditizia che arriva da Basilea 3 e colpisce l'economia in generale e l'edilizia in particolare, creando un vulnus all'occupazione e alla stessa capacità di resistenza delle imprese, che finora si sono mostrate molto responsabili». Una risposta indiretta al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che ancora ieri ha richiamato gli imprenditori a fare la loro parte nella sfida della crescita. Buzzetti evita le polemiche dirette con il titolare del Tesoro ma ricorda come gli stanziamenti per le opere pubbliche siano caduti del 30% in tre anni e come il patto di stabilità impedisca stupidamente di investire anche a quei comuni virtuosi che hanno risorse in cassa. «Invece di invertire questa rotta, nel Documento di economia e finanza si teorizza una politica di ulteriore e incredibile riduzione della spesa pubblica per investimenti e ci sembra sempre più che la mancanza di scelte per scarsa attenzione alle infrastrutture stia diventando una scelta politica di non fare più infrastrutture». Un passaggio sconcertante non solo per le imprese di costruzioni ma anche per tutti quelli che nel 2001 assistettero al lancio di una politica di infrastrutture roboante da parte di Silvio Berlusconi prima nel famoso "contratto con gli italiani", poi con l'approvazione della legge obiettivo.
Cosa si deve fare oggi per contrastare questa sorta di abbandono progressivo del campo infrastrutturale da parte dello Stato? «Non abbiamo alcun dubbio e lo ripetiamo ormai da mesi: bisogna avviare davvero le opere Cipe programmate da due anni e destinare i fondi Fas alle infrastrutture del Mezzogiorno. Per capirci, l'idea di usare ancora il Fas per ripianare i deficit sanitari o finanziare le quote latte ci trova del tutto contrari e le rassicurazioni del ministro Fitto, in questo senso, devono trovare immediata conferma nella realtà». Sono mesi e mesi che il governo parla di destinazione delle opere Fas alle infrastrutture davvero strategiche del sud ma non si sono ancora assegnati i 15,4 miliardi alle regioni meridionali del Fas 2007-2013 e intanto con il Fas nazionale e una quota di quello regionale il Tesoro ha continuato a finanziare poste del tutto diverse da quelle degli investimenti, per esempio i deficit sanitari.
«Stesso discorso di mancata traduzione dagli annunci ai fatti va fatto con le opere del Cipe» (che in parte coincidono con gli stessi finanziamenti del Fas nazionale o "fondo Matteoli", in parte usufruiscono dei fondi della legge obiettivo): «Le prime delibere programmatiche sono del 2009, ma in due anni le risorse reali alle opere e ai cantieri sono arrivati con il contagocce e noi non capiamo più se ci hanno presi in giro annunciando risorse che non c'erano oppure le risorse ci sono ma ci si vuole fermare all'effetto-annuncio».
Comunque si giri non è certo un buon esempio di programmazione economica e lascia un po' il sapore della presa in giro. Lo stesso piano nazionale delle riforme fa riferimento alla delibera del novembre 2010 del Cipe, che avrebbe dovuto sbloccare lo stallo e aprire la strada a una nuova politica del settore, ma non dà nessuna garanzia sui tempi di rilascio della cassa necessaria per realizzare le opere.
Le semplificazioni, infine. Si dice che una delle misure destinate a entrare nel pacchetto Calderoli sia la "libertà di sagoma", cioè la possibilità di demolire e ricostruire senza dover rispettare la forma precedente dell'edificio. «Sarebbe un'ottima iniziativa su cui non abbiamo ancora certezze. Noi stessi abbiamo proposto un pacchetto di misure e altre ne proporremo la prossima settimana, ma non sappiamo ancora cosa effettivamente ci sia nel decreto in preparazione». Certo che anche le semplificazioni urbanistiche, come quelle negli appalti, se fatte in fretta, possono contribuire a «uscire da questo limbo infinito in cui ci troviamo» e magari rappresentare un primo mattone di quella politica industriale «che all'orizzonte oggi non si vede».
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