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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2011 alle ore 06:38.

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MILANO
Assolte perché il fatto non sussiste. Non sono le banche e neppure i loro funzionari i responsabili delle comunicazioni false al mercato sui finanziamenti e sui bond della Parmalat finiti nei portafogli dei risparmiatori a pochi mesi dal crack del 2003. Assoluzione piena per le cinque banche Morgan Stanley, Bank of America, Citi e Deutsche Bank, accusate di non avere predisposto adeguati modelli organizzativi e di avere violato il decreto legislativo 231/2001. Assolti anche i sei funzionari degli istituti di credito Carlo Pagliani, Paolo Basso (Morgan Stanley), Marco Pracca, Tommaso Zibordi (Deutsche Bank), Paolo Botta (Citi) e Giaime Cardi (Credit Suisse) «per non avere commesso il fatto» e in alcuni casi «perché il fatto non sussiste».
Dunque, per i giudici della seconda corte penale di Milano, il comportamento delle banche e dei suoi funzionari non è penalmente rilevante e i responsabili vanno cercati altrove. Escluse le banche, l'unico responsabile delle manipolazioni è ancora lui, Calisto Tanzi, già condannato in appello a 10 anni per aggiotaggio: il prossimo 2 maggio la Cassazione si pronuncerà sulla condanna definitiva.
Esultano le difese
Esultano gli avvocati delle banche che hanno driblato l'accusa di avere manipolato le comunicazioni al mercato, per sostenere i prezzi delle azioni e delle obbligazioni di Collecchio, in cambio di laute commissioni. Quelle stesse commissioni per le quali i pubblici ministeri Francesco Greco, Eugenio Fusco e Carlo Nocerino avevano chiesto la confisca di 120 milioni di euro. Tutto annullato. E se tutti e quattro gli istituti di credito si sono detti «soddisfatti», ancor di più lo sono i difensori: «Il tribunale di Milano - ha commentato Nerio Diodà, difensore di Citigroup - in una situazione difficile, ha avuto la forza, la capacità e l'indipendenza per un atto di grande correttezza». Sulla stessa linea Guido Alleva, legale di uno dei manager di Deutsche Bank (l'istituto tedesco era difeso da Paola Severino, legale anche di Morgan Stanley): «Con questa sentenza crolla il teorema che voleva le banche responsabili nel crack Parmalat e che vi fosse una comunanza di interessi con il gruppo di Collecchio laddove, invece, gli interessi delle banche erano in gran parte in conflitto con quelli dell'azienda».
«Indagine doverosa»
«Era una indagine doverosa e utile» si sono limitati a commentare i magistrati, usciti dall'aula subito dopo la lettura del dispositivo. Un brutto colpo per la procura milanese che già nel primo processo per aggiotaggio era arrivata l'assoluzione per i tre funzionari di Bank of America. I pm non hanno ancora deciso se faranno appello, in quanto a giugno scatta la prescrizione. Ad alleggerire le posizioni delle banche, secondo alcune interpretazioni, avrebbero contribuito le transazioni concluse tra le banche e le associazioni dei risparmiatori. Alcuni istituti hanno patteggiato e sono usciti dai processi di Milano e di Parma, come Ubs e Nextra, la sgr del gruppo Intesa Sanpaolo, pagando una sanzione amministrativa di 500 mila euro e una confisca di un milione.
Tanzi unico responsabile
In attesa del deposito delle motivazioni, l'impostazione della sentenza di ieri sembra ricalcare quella del primo processo. Le operazioni sono le stesse, come il bond da 350 milioni di euro organizzato da Deutsche Bank e comunicato al mercato soltanto nel novembre 2003, molti mesi dopo il collocamento per evitare il crollo delle azioni: i funzionari della banca tedesca sono stati assolti per non avere commesso il fatto, quello stesso per il quale invece Tanzi è stato condannato. L'ex patron della Parmalat, nel corso degli altri processi, aveva cercato di difendersi addossando la responsabilità agli istituti di credito, ma per i giudici era lui ad approvare quelle operazioni bancarie svantaggiose per il gruppo: come le operazioni Canada, Buco Nero e Earchimede di Citigroup, il finanziamento di Morgan Stanley, l'obbligazione da 500 milioni di Parmalat Brasile e il bond da 250 milioni per Parmalat Bv di Credit Suisse.
A Parma resta la bancarotta
La vicenda Parmalat non si chiude con la sentenza di ieri: a Parma le stesse banche sono chiamate a rispondere per concorso in bancarotta, un'ipotesi di reato che difficilmente risentirà della sentenza di ieri. Qui si aprirà il capitolo della conoscenza e conoscibilità del dissesto, ma soprattutto si capirà se quelle operazioni finanziarie hanno assicurato al gruppo Parmalat il sostegno necessario per procrastinare l'emersione dell'indebitamento, in una fase in cui era già evidente l'irreversibilità della crisi.
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