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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 07:34.

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ROMA. A rianimare una Camera semideserta alla vigilia della pausa pasquale ci ha pensato Remigio Ceroni, deputato del Pdl, recordman di presenze in aula ma fino a ieri mai giunto alla ribalta della cronaca politica. Proprio mentre a Palazzo Grazioli Silvio Berlusocni stava tenendo il vertice con lo stato maggiore del partito per pianificare la campagna elettorale per le prossime amministrative e i tempi del rimpasto di governo, il solerte Ceroni annunciava la presentazione della proposta di legge per modificare l'articolo 1 della Costituzione, nella quale si prevede la «centralità del Parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale». In sostanza Ceroni propone che venga sancita la supremazia di un organo, il Parlamento, rispetto ad altri quali il Capo dello Stato, la Corte costituzionale e lo stesso esecutivo.

Il suo partito prende subito le distanze. La proposta Ceroni viene immediatamente ridimensionata a una iniziativa esclusivamente personale. «Ma occupiamoci di cose serie», commenta Maurizio Lupi prima di imboccare le scale di Palazzo Grazioli, dove – si racconta – il commento del premier si sarebbe limitato ad una risata. «Vi sembra che un partito che da sempre punta al presidenzialismo possa avallare un'ipotesi che punta a rafforzare il Parlamento rispetto all'esecutivo?», aggiunge Gaetano Quagliariello al termine della riunione. E ancora: «Ma dov'è lo scandalo? il 99% dei deputati fa proposte a titolo personale», stigmatizza Osvaldo Napoli, che se la prende con il risalto dato all'iniziativa del collega.

Il Pdl insomma minimizza. Ma non l'opposizione, che vede nella proposta dello sconosciuto Ceroni un secondo caso Lassini. L'iniziativa personale del deputato del Pdl sarebbe stata in altre parole "suggerita" dallo stesso premier, anche se non direttamente, con le sue prese di posizione contro il Capo dello Stato, la Corte costituzionale e la magistratura. Anche perché lo stesso titolare della proposta, pur ripetendo di aver fatto tutto da solo, non sembra intenzionato a spegnere sul nascere le polemiche. Anzi punta l'indice esplicitamente contro il Capo dello Stato, rinfacciandogli «alcune ingerenze, alcuni punti di vista fatti trapelare nel momento in cui il Parlamento deve valutare le leggi». E tra queste leggi non può sfuggire «l'attenzione» del Quirinale sulla prescrizione breve e il cosiddetto «allunga processi» all'esame attualmente del Senato, e che per il premier sono prioritarie. Ceroni parla esplicitamente di rischio «eversione», del «sopravvento di poteri non eletti dal popolo sovrano e perciò privi di rappresentanza politica», sostenendo che «né il Presidente della Repubblica, né il governo, né la Corte Costituzionale, né la magistratura sono titolari della rappresentanza politica quale espressione della volontà del popolo sovrano, perché tali organi non vengono eletti dal popolo». ragionamenti non così lontani da quelli più volte ripetuti dal premier.

Almeno così sostiene l'opposizione che parla di «attentato alla Costituzione». «Le esternazioni quotidiane del presidente del consiglio devono aver convinto anche i suoi deputati che si può dire e fare di tutto», dice Marina Sereni del Pd e lo stesso ripetono Antonio De Poli, portavoce dell'Udc e il finiano Nino Lo presti e anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. IL caso Ceroni sarebbe speculare a quello Lassini: entrambi non avrebbero fatto altro che mettere nero su bianco, il primo con una proposta di legge, il secondo con i poster sulle Br in procura, quanto Berlusconi ripete quotidianamente.

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