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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2011 alle ore 12:56.

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Philippe Gilbert (Ap)Philippe Gilbert (Ap)

Tutti pazzi per Philippe Gilbert, l'unico corridore, anzi l'unico simbolo, che tiene insieme tutto il Belgio.

Non butta bene, invece, per les italiennes. Peccato. Peccato perche' nei quartieri periferici di Liegi, dove passa la Doyenne, la classica più' antica del mondo, il tricolore pavesa case e balconi dei nostri vecchi immigrati, ormai nonni e padri di ragazzi e ragazze che dell'italia non sanno granche', a parte i soliti fritti misti dei tg sui barconi di lampedusa e sulle notti magiche di Arcore.

Figurarsi, quindi, se per la festa del 150esimo un italiano fosse in pole position per la vittoria. Solo che qui di corridori azzurri, vagamente sulla breccia, notizie non si hanno. Non pervenute, insomma. Ma poi: che notizie vuoi dare? Siamo ai minini storici. L'ultima classica vinta risale all'ottobre 2008 (Cunego, Giro di Lombardia), il resto e' un lungo digiuno non certo mitigato, nel 2011, da qualche sfuocato piazzamento come il secondo posto di Bennati a Wevelgem o il sesto da Ballan alla Roubaix. Una caduta libera senza precedenti. Soprattutto per gli italiani, famosi come cacciatori di classiche (33 vittorie negli ultimi 10 anni). Qualcuno, per non disperare, ricorda un altro periodo di transizione: quello della fine degli anni Ottanta, dormiente tra gli ultimi colpi di Argentin e i primi squilli di Bugno e Chiappucci.

Puo' darsi, i cicli vanno e vengono, pero' tira davvero brutta aria. Anche perche' annaspiamo tra due crisi: quella che dicevamo dei risultati e quella permanente del doping. Che colpisce tutti, ma con ricadute diverse su ogni paese. La domanda vera allora e': ma a noi va peggio perche' siamo più' controllati e, quindi, più bastonati? Oppure siamo solo messi male per cause naturali? Comunque si risponda, non e' un bel rispondere. Di certo, in altri paesi, come in Spagna per Contador, si picchia meno duro, ma questo e' una magra consolazione. Diciamo che in Italia, culla di tolleranza per evasori e affini, si usa invece il pugno di ferro nell'antidoping ciclistico. Giusto cosi, sia chiaro. Se poi tanto rigore fosse esteso anche in altri settori, sportivi e non solo sportivi, sarebbe ancora meglio. Ma lasciamo perdere.

E torniamo alla Liegi, vecchia principessa sempre affascinante anche se non la vinciamo dal 2007 (Di Luca). Questa volta, come dicevamo all'inizio, il nome d'obbligo e' quello di Philippe Gilbert, freschissimo trionfatore della Freccia Vallone e della Hamstel Gold Race: caricatissimo quindi per centrare una storica tripletta che nel 2004 riusci' a Davide Rebellin. La casa di Gilbert e' ai piedi della Redoute, la salita più' famosa delle 10 cotes che caratterizzano la Liegi. Tutti i suoi fans si piazzeranno qui con tendoni e maxischermi e birra a fiumi per celebrare la vittoria, forse fin troppo annunciata, di Philippe. A mettergli i bastoni tra le ruote ci proveranno quelli della katusha, con un tridente di tutto rispetto: il kazako Vino Vinokurov, ultimo vincitore della Liegi, il russo Kolobnev e il nostro Danilo Di Luca, atteso questa volta come gregario di lusso per i suoi compagni dell'Est. Vedremo. Gilbert e' caricato a pallettoni, e tutto gli riesce facile. Poi e' un vallone che piace anche ai fiamminghi, uno dei pochi simboli unificanti di un paese (da un anno il Belgio e' senza governo) più tribolato del nostro. Diciamo insomma che Gilbert corre con qualche ottano di sana benzina nazionalistica in più. Sarebbe bello che, in maggio, fosse cosi' anche per noi al Giro d'Italia. Ci vorrebbero dei corridori, pero'. Qui a Liegi oggi arriva Cunego. Cunego chi?

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