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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2011 alle ore 08:10.

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«Sono sculture viventi, lo senti il professore: Professore io, è la prima volta che vengo alla Biennale e nun avevo l'idea di quello che può esse... la pecora ...vivente». Avete in mente lo strepitoso Alberto Sordi che interpretando il fruttarolo nel film «Le vacanze intelligenti» va con la moglie a visitare la Biennale di Venezia e incappa in opere d'arte incomprensibili? Ebbene, le cose da allora sono cambiate e ci sono buone notizie: il turismo culturale è in ripresa e secondo le statistiche elaborate dal Centro Studi del Touring Club Italiano il numero complessivo dei visitatori dei musei, monumenti e aree archeologiche statali ha raggiunto nel 2010 il suo massimo storico con 37,4 milioni di visitatori, variazione in parte influenzata da una diversa rilevazione campionaria al Pantheon. Anche gli introiti dai biglietti sono aumentati del 7,7% rispetto al 2009, il che, in un anno di crisi, non è un risultato disprezzabile. Tutto bene dunque?
Mica tanto. Il turismo è un settore fondamentale dell'economia italiana: secondo il World Economic Forum (Wef)contribuisce direttamente o indirettamente (ad esempio tramite pizzerie, generi alimentari, shopping, eccetera) al 9,4% del Pil e al 10,9% dell'occupazione.
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Questo dato inoltre svela che si tratta di un settore a bassa produttività: le persone impiegate producono meno reddito pro-capite rispetto al resto dell'economia. Inoltre, mentre gli arrivi internazionali sono più o meno stabili (nel 2009 circa 43 milioni), è diminuito il fatturato, indice del fatto che i turisti spendono meno.
Il dato è esacerbato dall'Istat che a febbraio di quest'anno ha rilevato come i viaggi con pernottamenti dei residenti in Italia nel 2010 siano stati circa 100 milioni con una diminuzione del 12,9% del numero dei viaggi e del 7,8% dei pernottamenti. Ma quel che è peggio è constatare una diminuzione del 13,4% degli spostamenti con mete italiane mentre rimangono stabili quelli verso l'estero, segno inequivocabile che qualcosa non va. L'Italia, che è il terzo paese al mondo per siti classificati come World Heritage (patrimonio dell'umanità) e ha un'ottima capienza alberghiera, si ritrova ventisettesima nell'indice di competitività in viaggi e turismo del Wef soprattutto grazie ai risultati deludentissimi di tutto ciò che riguarda l'intervento pubblico: trasparenza del processo decisorio pubblico (119mo posto su 137), tassazione (133!!), flessibilità e mobilità della forza lavoro (129), impatto della legislazione sugli investimenti stranieri (118), infrastrutture dei trasporti via terra (111ma: pensiamo alla Salerno-Reggio Calabria) e così via.
Né si può dire che le spese pubbliche siano basse: solo le Regioni spendono 1,6 miliardi l'anno per il turismo e gli investimenti infrastrutturali nel settore sono in media dello 0,7-0,8% del Pil (10-12 miliardi).
Secondo uno studio di due economisti, Cellini dell'Università di Catania e Torrisi dell'Università di Newcastle, che si allinea alla perfezione con le rilevazioni del Wef, il problema è la scarsa qualità e la frammentazione locale della spesa che l'evidenza empirica mostra essere scarsamente correlata sia al miglioramento della capienza alberghiera, che alle strutture di accoglimento e al numero di turisti.
D'altronde, secondo il rapporto Deloitte del 2008 «The Economic Case for the Visitor Economy», l'intervento pubblico può essere giustificato solo a fini informativi e di marketing generale del paese, per preservare i siti culturali dai danni provocati dalle folle e per migliorare la qualità del personale addetto. In altre parole: preservazione dei beni culturali, istruzione e informazione. Solo quest'ultima funzione sarebbe mirata specificamente al turismo e, obiettivamente, costa poco (anche se può essere fonte di sprechi: basti pensare al penoso portale governativo www.italia.it costato 7 milioni e mai entrato in funzione).
Perciò suggerisco volentieri un'idea al ministro Galan, il quale giustamente si rammarica dell'esistenza inossidabile delle Province, da discutere coi suoi colleghi: aboliamo in blocco tutti i fondi regionali (presidenti delle Regioni permettendo...) e statali per il turismo, salvo quanto serve per informare in modo efficace i turisti e attrarli in Italia, abbattiamo l'Iva sulle prestazioni alberghiere del 5% (costerebbe qualche centinaio di milioni ma creerebbe molta più ricchezza) e metà di quello che risparmiamo destiniamolo a creare partnership con i privati per salvare Pompei e bellezze simili, nonché riportare alla luce quadri e sculture oggi giacenti nei magazzini. All'Italia serve una politica efficace che proietti l'immagine del paese all'estero e liberi le energie dei privati, non miriadi di assessorati locali che sfruttino male le risorse a disposizione per mancanza di visione e sinergie.
adenicola@adamsmith.it

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