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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 06:37.

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Saranno i Tornado Ids gli aerei italiani in missione di guerra in Libia. Montano fino a quattro missili Storm Shadow - ma di solito ce ne sono due - con una portata di oltre 250 chilometri. In una seconda fase potranno entrare in azione anche gli AV8 B Plus, detti anche Harrier II, appartenenti alla Marina militare e imbarcati sulla portaerei Garibaldi. Gli Harrier, però, utilizzano bombe di precisione e prevedono un impiego a più alto rischio. «I Tornado, invece, possono garantire un'azione precisa per colpire basi militari, navali, caserme, depositi di munizioni» spiega Andrea Margelletti, presidente del Ce.Si (Centro studi internazionali).
Non è ancora noto in definitiva quanti saranno i velivoli impiegati fin dall'inizio, ma si ipotizzano dai cinque agli otto mezzi. L'azione offensiva è comunque micidiale: «La testata dello Storm Shadow ha 450 chili di esplosivo a fronte di un peso complessivo del missile di 1.200 kg» aggiunge Margelletti. I Tornado dovrebbero decollare a breve.
Ma secondo il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare, gli aerei italiani saranno pronti a entrare in azione «nella migliore delle ipotesi entro 72 ore a partire da ora». In ogni caso, sostiene Tricarico, «c'è un rischio altissimo di danni collaterali». Il Tornado, con ali a geometria variabile, è in grado di viaggiare ad alta velocità (Mach 1.2) a quote molto basse e gli inglesi li hanno già utilizzati in Libia. I missili Storm Shadow hanno una telecamera a raggi infrarossi a guida Gps: «Giunto a distanza di tiro, il missile si libera della copertura della testata e la telecamera verifica se l'immagine ripresa è compatibile con quella assegnata alla partenza - spiega Margelletti - solo in questo caso si apre il fuoco; in caso opposto, se le due immagini cioè non sono compatibili, il missile cambia traiettoria e si fa esplodere in un altro luogo prefissato in modo tale da non provocare danni».
Lo scenario di impegno militare è cambiato. Spiega il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: «L'Italia non ha voluto sentirsi da meno degli altri Paesi che hanno voluto assistere i cittadini che sono sotto i colpi dell'esercito di Gheddafi». Un peso non trascurabile su questa decisione l'ha avuto di certo il recente colloquio al Pentagono tra La Russa e il collega americano Robert Gates.
Anche perché agli Usa non è piaciuta la posizione contraddittoria assunta all'inizio del conflitto dall'Italia, che prima aveva annunciato il bombardamento dei radar libici e poi aveva ribadito in più occasioni che non avrebbe mai agito in questo senso. Ieri un portavoce della Nato ha detto: «Diamo il benvenuto all'annuncio che l'Italia ha deciso di fare un passo in più». Finora sono state circa 150 le missioni compiute dagli aerei messi a disposizione da Roma nell'ambito delle operazioni Odyssey Dawn e poi Unified Protector a guida Nato.
Nella prima operazione gli aerei erano otto, quattro F16 e quattro Tornado. Poi i quattro F16 sono rientrati sotto controllo nazionale e sono stati messi a disposizione della Nato quattro Eurofighter 2000 e quattro AV-8B Plus della Marina militare, imbarcati sulla Garibaldi, portando a dodici il totale.
La Marina è presente con la portaerei Garibaldi, la fregata Libeccio, la rifornitrice Etna e il pattugliatore Comandante Bettica, che continuano a pattugliare l'area di competenza per il rispetto dell'embargo.
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