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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 07:39.

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Da un lato Silvio Berlusconi che espone fin nei minimi dettagli i motivi che lo hanno indotto lunedì sera alla svolta del governo sulla missione militare in Libia. Decisione sofferta, ma inevitabile, osserva il presidente del Consiglio. Dall'altro, Giorgio Napolitano che ascolta, prende atto, richiama i suoi più recenti interventi sull'argomento e invita il governo ad assumere decisioni e atteggiamenti coerenti con quanto già deliberato dal Parlamento.

In sostanza, dalla decisione con la quale le Camere hanno autorizzato la missione non si torna indietro. Il piano istituzionale va nettamente distinto da quello politico, e dunque spetta al presidente del Consiglio, prima del voto del 3 maggio, dipanare l'intricata matassa creatasi con la dissociazione della Lega.

Da questo punto di vista, Berlusconi ha ammesso che il problema è serio, ma conta di venirne a capo nei prossimi giorni con un chiarimento diretto con Umberto Bossi. Quanto al minirimpasto, Napolitano ha preso atto dell'annuncio da parte di Berlusconi di voler procedere al reintegro dei ministri e sottosegretari di Fli con la nuova pattuglia dei responsabili. Niente di più. Anzi ha opposto un netto rifiuto a entrare nel merito dei nomi che Berlusconi intende sottoporgli. Per l'eventuale allargamento della squadra di governo, si dovrà eventualmente procedere alla modifica della legge Bassanini attraverso un disegno di legge ordinario.

Un'ora di colloquio, nel corso del quale Berlusconi ha illustrato a Napolitano - lo precisa una nota del Quirinale - «i motivi delle decisioni del governo sugli sviluppi della partecipazione italiana alle operazioni militari in Libia». Scelte adottate sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu «e del voto già espresso dal Parlamento italiano». L'enfasi su quest'ultimo passaggio è evidentemente tutt'altro che casuale. Napolitano non ha fatto altro che richiamarsi alle posizioni espresse il 26 aprile, in coerenza con gli indirizzi dell'ultimo Consiglio Supremo di Difesa».

La convinzione di Napolitano è che una crisi sulla politica estera aprirebbe scenari a dir poco complessi da affrontare, ma al tempo stesso il governo non può avere su temi di tale rilevanza atteggiamenti ondivaghi, o ancor peggio procedere attraverso strappi al suo interno che minano la credibilità del paese sul piano internazionale. In poche parole la linea deve essere una sola, pur nella fisiologica dialettica tra le forze politiche, tra maggioranza e opposizione. Dell'intera vicenda Napolitano ha peraltro parlato al telefono nei giorni scorsi con Umberto Bossi.

La «sponda istituzionale» chiesta da Berlusconi è per il Colle in quel che il Parlamento ha già deliberato. Napolitano anche ieri, attraverso la ricostruzione di Valentino Parlato apparsa sul «Manifesto», ha chiarito la sua posizione in merito: occorre «interpretare nel suo insieme» l'articolo 11 della Costituzione, in cui viene sancito il principio del ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. E dunque - questa la linea del Colle - nel prendere parte alle operazioni contro la Libia sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l'Italia «non conduce una guerra né per offendere la dignità di altri popoli né per risolvere controversie internazionali».

Risponde se mai a una richiesta delle Nazioni Unite, «organizzazione internazionale alla cui Carta fondativa del 1945 evidentemente fa riferimento la nostra Carta elaborata dall'Assemblea Costituente». La decisione del governo di partecipare ai raid aerei in Libia in realtà non è altro che il «naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a metà marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio Supremo di Difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento». Ed è questa peraltro la linea che il Capo dello Stato ha sostenuto in tutte le sue recenti visite all'estero, da Budapest a New York.

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