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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 08:12.

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ROMA
È solo in serata che la crisi sulla Libia tra il premier e la Lega trova la sua via d'uscita. È una dichiarazione di Silvio Berlusconi, dettata alla fine di una giornata che comunque aveva avuto toni più concilianti degli ultimi giorni, a segnare il disgelo con Umberto Bossi. «La mozione della Lega è un contributo costruttivo e pragmatico per trovare la soluzione al dibattito in corso tra le forze politiche». Insomma, la rottura è sanata e, a questo punto, manca solo un incontro tra i due (che alcuni dicono sarà lunedì) per sugellare la tregua. Era questo il finale atteso e il merito sembra vada attribuito soprattutto a Giulio Tremonti. A raccontarlo sono uomini vicinissimi al Cavaliere che dicono sia stato proprio il premier a chiedere un aiuto al ministro dell'Economia per ricucire i rapporti lacerati con Bossi. Una mediazione che ha segnato la schiarita nei rapporti con il ministro di via XX Settembre come dimostra la telefonata – di cui sono stati prontamente informati i cronisti – «molto positiva» tra i due proprio ieri sera in cui sarebbe arrivato pure l'accordo sul via libera al decreto-sviluppo.
A questo punto restano dei dettagli da definire. Perché se la mozione è stata "sdoganata" dal premier, servirà una qualche limatura per salvare l'immagine di un Pdl e di un premier costretti a votare ciò che il Carroccio detta. E questo è un fronte. L'altro fronte è il negoziato che c'è stato sotto. Perché la Lega è un partito ma anche un sindacato e a ogni rottura apre un dossier di trattativa. Questa volta pare che le richieste riguardino due o più sottosegretari (Agricoltura e Sviluppo economico), il trasferimento della Consob al Nord, misure nel decreto sviluppo. E soprattutto lo stop agli attacchi a Giulio Tremonti. Se una cosa ha dimostrato questa vicenda è che il Senatur è contro le bombe tanto quanto contro chiunque tocchi il ministro dell'Economia. Pure Berlusconi. E la ragione sta anche nel fatto che Lega e Tremonti condividono una stessa impostazione in economia e la stessa sintonia nella definizione degli assetti più delicati, per esempio quelli bancari o di aziende di peso, come si è potuto osservare nelle nomine Enel, Eni e Finmeccanica. Non è un caso che la telefonata di ieri tra Tremonti e il premier abbia trattato anche il decreto sviluppo, creatura che il ministro vuole tutelare dalle scorribande.
Ma c'era soprattutto una ragione che teneva al riparo la nostra missione in Libia: il ruolo di garanzia esercitato da Giorgio Napolitano. Se c'è un tratto che distingue il Carroccio di oggi da quello di 10 anni fa, è proprio il rispetto per il Quirinale e – mai – come ha dichiarato lo stesso Bossi, la Lega si sarebbe messa di traverso al Colle. Da ambienti vicini al capo dello Stato, però, si prendevano le distanze da alcune ricostruzioni e interpretazioni giornalistiche secondo le quali il Colle avrebbe ispirato o sarebbe stato coinvolto nella stesura di alcune mozioni. Ipotesi lontane dalla realtà.
Tornando sulla scena della politica, che la piega sulla Libia stesse prendendo il verso giusto lo si capiva sin dalle prime ore del pomeriggio quando dal Pdl arrivavano i primi sì ai sei paletti della mozione leghista. «Sono dei punti interessanti, da approfondire, comunque si è vicini alla soluzione», diceva il vicepresidente dei deputati Pdl, Osvaldo Napoli, che aveva già sentito il clima intorno a Palazzo Chigi. Il primo via libera ufficiale è stato, però, del ministro Maurizio Sacconi che aprendo alla mozione – «una buona base per l'accordo» – aveva anticipato quale sarebbe stato il finale di giornata. A quel punto anche la Lega ha fatto sentire il disgelo. «Si va verso una soluzione. Il Pd voti con noi», a dirlo era stato Roberto Calderoli ma, dopo aver avuto il «no» dei Democratici, li bolla come «bombaroli». Ieri comunque dalle parti del Carroccio si cantava vittoria per averla spuntata. «Con la nostra mozione – spiegava Maurizio Fugatti, deputato leghista vicino a Giorgetti – abbiamo corretto la rotta e il pallino è tornato nelle nostre mani». Tutto servirà in campagna elettorale, anche se gli sbarchi non si fermano. «L'abbiamo detto sin dall'inizio – ribatte Fugatti – che la conseguenza sarebbero stati i clandestini. I fatti ci danno ragione».
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