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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2011 alle ore 07:51.

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L'uomo che ha sconfitto Osama bin Laden si chiamava Mohammed Bouazizi e vendeva frutta a Sidi Bouzid, provincia tunisina. Era contro il regime corrotto, anti islamico e filo occidentale del suo Paese. Sicuramente lo era anche bin Laden. Ma diversamente dai kamikaze del predicatore saudita, Mohammed non ha indossato una cintura esplosiva e non ha ucciso nessuno.

Nemmeno i suoi aguzzini. Si è dato fuoco un giorno di dicembre ed è morto uno di gennaio, solo.
L'esercito che ha battuto al-Qaida sono le centinaia di migliaia di giovani, di donne, di persone comuni che hanno ascoltato il grido di dolore di Mohammed Bouazizi e non quello di odio di bin Laden. Arabi che dalla Tunisia, all'Egitto, alla Libia, alla Siria e al Golfo sono scesi in strada senza gridare che «l'Islam è la soluzione». Era lo slogan dei Fratelli Musulmani e nemmeno loro lo hanno più usato in piazza Tahrir. Facebook, non il Corano è stato lo strumento di lotta: non perché qualcuno pensasse che il primo fosse più utile del secondo ma perché il Corano è un libro troppo importante per essere trasformato in arma politica.

Prima di essere sorpreso nella sua insospettabile casa pakistana, la più grande sconfitta di Osama bin Laden è stata la Primavera araba. Gli arabi si sono sollevati, come lui esortava, ma senza invocare il suo nome, la guerra santa né scegliere gli occidentali come nemico. Al contrario: ne hanno assunto gli stessi valori democratici, pacificamente o prendendo le armi solo come ultima risorsa contro la violenza del regime che li dominava. E hanno rivendicato quei valori di libertà e modernità nonostante i Paesi occidentali siano stati prima increduli e poi così riluttanti a sostenere la loro protesta, rinunciando alle alleanze con i vecchi regimi.

Per una vera vittoria sul qaedismo era strategico che bin Laden non fosse solo sconfitto militarmente e dall'intelligence occidentale ma anche dalla società civile del mondo arabo. Dopo l'11 settembre nell'Islam si era creata un'area grigia di tolleranza simile a quella della sinistra europea quando apparve il terrorismo rosso: fratelli di fede che sbagliavano. Ancora oggi c'è chi continua a credere che bin Laden sia una specie di risposta orgogliosa e alternativa alle ingiustizie storiche "subite" dagli arabi e dall'Islam.
È tuttavia importante che la morte di Osama bin Laden non costituisca un fattore geopolitico in Medio Oriente. Nella rete orizzontale di al-Qaida ci saranno disperati colpi di coda, vendette consumate con la tradizionale violenza. Ma non faranno cadere regimi né modificheranno le dinamiche nella regione, distanti dallo scontro religioso medievale che bin Laden voleva provocare. Quello che sta accadendo è una lotta per la modernità, è iniziata anche contro di lui e farà il suo corso indipendentemente dalla sua morte.

Ma non bisogna credere che la Primavera araba si sia completamente liberata del suo fantasma. Al-Qaida è stata il grande assente della rivolta iniziata 10 anni dopo l'11 settembre. Non perché abbia rinunciato a parteciparvi al suo solito modo, ammettendo la sconfitta. Attende solo il momento opportuno. La transizione dai vecchi regimi corrotti e illiberali a quelli nuovi ancora irrealizzati, avrà dei passaggi d'instabilità. È in questi che la rete cercherà d'inserirsi tentando di aggravare e sfruttare i momenti d'incertezza. L'attentato di Marrakesh, venerdì, è un segnale. C'è ancora un'ultima battaglia prima di trionfare nella guerra contro l'Islam distorto che professava bin Laden. E questa la possono combattere e vincere solo gli arabi.

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