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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2011 alle ore 06:36.

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Per tentare di individuare il futuro di al-Qaida forse bisogna tornare da chi ha visto nascere la rete terroristica più temuta del mondo. «Finché vediamo Ayman al-Zawahiri vivo, anche Osama lo è: i due sono legatissimi ed è stato proprio il medico egiziano a delineare le strategie di al-Qaida», così mi disse qualche tempo fa a Kabul Wahid Mozdah, l'ex viceministro degli Esteri talebano. Zawahiri, ora che il leader è stato ucciso, sarà probabilmente il suo successore.
Per Wahid Mozdah i due sono intercambiabili. La sua opinione non è indifferente. Seguace dello sceicco palestinese Abdullah Azzam, leader spirituale di Bin Laden e Zawahiri, era a Peshawar tra i fondatori dell'organizzazione. Mozdah ha conservato a lungo un segreto: «Ero io l'afghano citato negli omissis dei rapporti della Cia che nel luglio 2001 incontrò David Katz, il console americano a Peshawar per avvertirlo del progetto di un attentato clamoroso negli Stati Uniti».
Zawahiri, 59 anni, è da qualche anno il responsabile di tutte le operazioni di al-Qaida e dei piani strategici. È stato questo pediatra, esponente della borghesia musulmana del Cairo, colui che nel mondo sunnita ha fuso i concetti di martirio e suicidio in un'unica tecnica terroristica. Nei mesi scorsi ex agenti della Cia avevano fatto sapere che Bin Laden e al-Zawahiri si tenevano separati per garantire proprio la continuità della leadership dell'organizzazione, nel caso uno dei due fosse colpito.
Questo non esclude che forse vedremo emergere anche altri nomi perché l'organizzazione di Bin Laden è diventata sempre più caratterizzata dal suo radicamento tra Pakistan e Afghanistan, dalla collaborazione stretta con i talebani. Si potrebbe riunire a breve anche la Shura il consiglio direttivo di al-Qaida. Con base a Quetta, il consiglio comprende anche Sirajuddin Haqqani, figlio del leader talebano Jalaluddin, uno dei network afghani più temibili e potenti della guerriglia e del terrorismo.
Ma cosa è diventata al-Qaida e quali rapporti ci sono con le nuove "fabbriche della Jihad" in azione in Medio Oriente, in Nordafrica, nel Sahel e, a tratti, anche in Europa? L'angosciante realtà di questo terrorismo islamico diffuso, che promette tragicamente di durare nel tempo, impone un'analisi rigorosa ma non rigida: oggi al-Qaida, in Yemen, in Maghreb, in Somalia, è una sorta di marchio in franchising del terrore impresso sugli attentati e rafforzato dalle rivendicazioni, che a volte confonde più che chiarire le idee.
Al-Qaida è una sorta di semplificazione che consente più facilmente di parlare di guerra mondiale al terrorismo in Afghanistan e in Pakistan - e negli anni scorsi in Iraq - lasciando in secondo piano gli scenari locali dove agiscono i gruppi radicali ed estremisti.
In realtà sono le situazioni specifiche che alimentano il terrorismo e il marchio di al-Qaida: là dove i Governi falliscono e si crea l'anti-Stato. Sono le zone grigie del mondo come il Baluchistan, il Waziristan, aree tribali che sfuggono da decenni al controllo di Islamabad. Ampie zone geografiche ai confini tra Algeria, Marocco, Mali, Mauritania, Niger, lembi estesi di territori mai raggiunti davvero dal potere statale. Oppure stati semi-falliti, come lo Yemen, dove i conflitti tribali, religiosi e le spinte separatiste, forniscono ai gruppi terroristici che si richiamano ad al-Qaida spazi di manovra e penetrazione. Per non parlare della Somalia, che da 20 anni è soltanto un'espressione geografica.
Al-Qaida può sopravvivere all'uccisione del capo finché dureranno queste espressioni dell'anti-Stato, in mano ai clan e alle tribù. È qui, nell'assenza di leggi e controlli, che si accumulano anche le fonti di finanziamento, dal narcotraffico alla pirateria, ai commerci illegali di ogni genere.
Come difendersi? A parte le solite ricette sulla sicurezza e l'intelligence, il metodo più efficace è la risposta politica. Il terrorismo ha come obiettivo quello di diffondere tra le popolazioni e i Governi un sentimento di shock e di inquietudine. Ma queste azioni hanno il limite che difficilmente potranno conseguire effetti politici durevoli. Nessun terrorismo sopravvive a lungo se non si trasforma in un atto politico rilevante: la rivolta popolare nei Paesi arabi è già stata una risposta forte ai piani fallimentari di al-Qaida di ribaltare i regimi dei raìs.
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1998-2011 GLI ANNI DELLA PAURA
1998
Attacchi alle ambasciate Usa
Il 7 agosto del 1998 due veicoli esplodono vicino alle ambasciate Usa a Nairobi, in Kenya, e a Dar es Salaam, in Tanzania, facendo 224 morti (nella foto il memoriale). Gli attacchi, rivendicati da al-Qaida, sono tra gli atti fondativi della rete
2001
L'11 settembre
Membri di al-Qaida dirottano quattro aerei di linea per mettere a segno attentati spettacolari contro le due Torri gemelle a New York (a destra) e il Pentagono a Washington. Il quarto aereo si schianta in Pennsylvania. Quasi 3mila le vittime

2002
Bombe contro il turismo a Bali
Il 17 ottobre un'autobomba esplode vicino a una discoteca di Bali, in Indonesia, facendo più di 200 morti, tra cui numerosi turisti (nella foto a destra il luogo dell'attentato). L'attentato è attribuito alla Jemaah Islamiyah, che si ispira ad al-Qaida

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