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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2011 alle ore 06:37.

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Quando Osama Bin Laden arriva in Afghanistan e comincia a scavare con i bulldozer dell'azienda di famiglia i tunnel per i mujaheddin anti-sovietici è ancora un amico dell'America, ben inserito nell'establishment internazionale.
Suo padre Muhammad, muratore dell'Hadramaut yemenita diventato un magnate dell'edilizia, aveva lasciato a suoi 54 figli un'eredità di 11 miliardi di dollari e il Bin Laden Group: a ogni maschio spettava una quota sugli utili del 2,2 per cento (metà alle femmine, secondo la legge islamica). Dal 1970 al 1994 Osama incassa 24 milioni di dollari di dividendi.
Osama dunque era ricco quando nasceva al-Qaida ma non nella misura grottesca che gli è stata attribuita. Per questo si è sempre dato da fare a raccogliere fondi. Soltanto lui poteva vantare un certo tipo di contatti ad alto livello: rampollo di una famiglia legata alla monarchia saudita, incontrava principi, presidenti e generali.
È interessante, per capire nel tempo le dimensioni finanziarie del network, il racconto che fece a Islamabad Kahlid Khawaja, ex capo del famoso Afghan Bureau dell'Isi, i servi militari pakistani. «Con il generale Hamid Gul organizzai un fronte di partiti per contrastare il premier Benazir Bhutto: fu il suo avversario Nawaz Sharif a chiedermi di vedere Osama». Ci furono cinque incontri ma fu storico quello al Green Palace di Medina.
Osama gli chiese se amasse la Jihad: «Certamente», rispose Sharif. Bin Laden allora gli tagliò davanti tre diverse porzioni di riso: «Questa è la più grande: rappresenta l'amore che nutri per i tuoi figli, questa di dimensioni inferiori è l'amore per i tuoi genitori, la più piccola indica la tua devozione per la Jihad». «Sharif chiedeva a Osama un contributo di otto milioni e mezzo di dollari; ne ricevette qualcuno di meno ma in compenso fu introdotto alla corte saudita che poi lo ha sempre protetto».
Con ingenti fondi a disposizione, Bin Laden , prima ancora di comprarsi il Mullah Omar e di organizzare gli attentati dell'11 settembre, aveva portato dalla sua parte politici e generali. L'ex capo di stato maggiore Aslam Beg disse senza difficoltà che Osama aveva foraggiato la sua campagna elettorale.
Per molti anni la principale fonte di finanziamento di Bin Laden è stato l'establishment saudita, con l'appoggio convinto del principe Turki al Feisal, allora capo dei servizi, ambasciatore in Usa e prossimo ministro degli Esteri. I sauditi in seguito ripudieranno Osama, fino a rifiutarne persino il cadavere ma allora lo sostenevano: «Per ogni dollaro fornito dall'America ai mujaheddin un altro veniva messo a disposizione dall'Arabia Saudita», racconta nelle sue memorie il generale pakistano Mohammed Yousaf.
L'holding Bin Laden della guerriglia afghana, a fine anni 80, aveva un bilancio ragguardevole: 600 milioni di dollari, in gran parte donazioni di privati e fondazioni saudite.
Ma dopo l'11 settembre al-Qaida diventa decisamente meno ricca e Bin Laden non può più esercitare il suo ruolo di fund raiser: alla vigilia delle Due Torri la Cia stima un “fatturato” di 30 milioni di dollari, di cui la metà ai talebani. Osama restava un simbolo ma non era più così importante, anche dal punto di vista economico.
Al-Qaida rappresenta comunque una svolta strategica nella storia dell'Islam militante e del terrorismo. In primo luogo la Jihad si espande su scala mondiale e non si limita al Dar Islam, la terra musulmana. Poi c'è la dimensione transnazionale: per colpire ha reclutato nelle comunità islamiche di tutto il mondo e tra gli immigrati.
Bin Laden non è l'ideatore della Jihad ma un “imprenditore” del terrorismo che con le sue doti di organizzatore ha creato un marchio multinazionale. Un ruolo importante è rivestito sicuramente dagli ex militanti dell'Afghanistan che rappresentano le liasons con i gruppi afghani e pakistani: sono stati loro in molti casi a fare lo start-up, l'avvio, delle nuove fabbriche della Jihad.
È questa la storia dell'al-qaidismo. Si spiega così la nascita di sigle che rivendicano attentati, dallo Yemen al Nordafrica, mentre alcuni gruppi terroristici, partendo da basi locali e sfruttando le aree grigie, economiche e politiche, lasciate libere da stati semi-falliti, creano dei network per stringere rapporti internazionali utili a procurarsi armi e finanziamenti. I metodi di Osama, la sua storia di “terrorista di successo”, sono stati imitati e costituiscono un tragico modello, anche se, forse, non facilmente replicabile.
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