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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2011 alle ore 17:16.

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L'unità palestinese alla prova dei negoziati (Epa)L'unità palestinese alla prova dei negoziati (Epa)

Bibi Netanyahu aveva un problema. A maggio era stato invitato a Washington per tenere un discorso al Congresso. Da dire, di concreto, aveva poco, stretto fra Barack Obama che preme per una ripresa della trattativa di pace e l'offensiva diplomatica di Abu Mazen per un riconoscimento all'Onu dello Stato palestinese.

Costretto a presentare una proposta israeliana, Bibi avrebbe messo in crisi il suo Governo ultra-nazionalista, ostile a ogni concessione.

Il problema glielo hanno risolto i palestinesi. L'accordo sponsorizzato dall'Egitto, raggiunto mercoledì, prevede un Governo provvisorio Hamas-Fatah. Quello che gli americani non volevano. Hamas rifiuta di riconoscere Israele e predica la lotta armata. Anche gli europei sono in imbarazzo: sono favorevoli a una riconciliazione palestinese e contemporaneamente alla sicurezza d'Israele. Catherine Ashton, il ministro degli Esteri della Ue, prende tempo: «Dobbiamo studiare i dettagli» dell'accordo. Il quale prevede che il Governo palestinese sia guidato da «figure nazionaliste e indipendenti». Cioè non da Salam Fayyad, il premier dell'Autorità palestinese della Cisgiordania, il solo vero referente di americani ed europei. Gli unici che garantiscono aiuti economici per milioni di dollari. Gli Stati Uniti lo hanno già fatto presente.


È ovvio che una riconciliazione fra i palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania sia auspicabile e che in qualche modo Hamas dovrebbe essere coinvolto nel dialogo di pace. Ma al momento la riconciliazione e il processo diplomatico sembrano in contraddizione. Fatah «continuerà ad occuparsi del negoziato», garantisce Abu Mazen che è anche il leader dell'Olp. Ma Hamas non aderisce all'Organizzazione e Mahmud Zahar, il leader del movimento islamico a Gaza, al contrario garantisce che il programma del Governo che nascerà dalla riconciliazione «non include negoziati con Israele né il suo riconoscimento. Non sarà possibile per il Governo a interim partecipare o mettersi al lavoro sul processo di pace».

La diplomazia palestinese della Cisgiordania ha ottenuto da oltre un centinaio di Paesi la promessa di un voto a favore all'Onu, quando a settembre verrà presentata la risoluzione che riconosce il diritto palestinese a uno Stato. Ma era implicito fosse uno Stato che riconosce Israele. Se ha ragione Mahmud Zahar e non Abu Mazen, molti Governi ci ripenseranno, soprattutto gli europei. Niente dialogo con Hamas se non riconosce Israele, già dicono i tedeschi, Secondo Shimon Peres, il presidente israeliano favorevole a uno Stato indipendente, i palestinesi stanno commettendo ancora una volta «un errore fatale».

Il suo problema Netanyahu lo ha dunque risolto. Ma non la questione palestinese e il processo di pace. È già previsto che Abu Mazen e Khaled Meshal, il capo supremo di Hamas in esilio a Damasco, si vedano mercoledì al Cairo per firmare il compromesso. Molti capi della sicurezza palestinese in Cisgiordania pensano che l'incontro non ci sarà: troppo profonda è l'ostilità. Hamas non vuole che Fatah torni a Gaza; e Fatah non vuole liberare centinaia di miliziani di Hamas arrestati, compromettendo l'ordine raggiunto faticosamente in Cisgiordania.

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