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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2011 alle ore 06:38.

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Partecipare rispettando le regole della politica o attenersi al dogma e isolarsi, nell'attesa millenaristica del califfato? La discussione è stata profonda e le divisioni a volte dolorose tra i Fratelli Musulmani egiziani. Osama Bin Laden non era mai stato menzionato perché non era un modello. Ma c'è sempre stata nel movimento islamico, dalla sua nascita nel 1928, una fazione che puntava agli stessi obiettivi di al-Qaida, con gli stessi metodi.
All'inizio della protesta, il 25 gennaio, la fratellanza aveva annunciato che non sarebbe scesa in piazza Tahrir. Ma lo fece con tutte le sue forze, cambiando idea, il 2 febbraio per vincere "la battaglia del cammello". Quando i simpatizzanti di Mubarak presero d'assalto piazza Tahrir con una cavalleria abborracciata, la carica si infranse contro i ragazzi del movimento giovanile della fratellanza, ben più muscolosi e addestrati allo scontro dei blogger coetanei. Da allora la piazza è stata dominata da loro.
Pragmatismo e violenza sono le due anime storiche del movimento islamico, ovunque. Nel Fronte di azione giordano, nella Coalizione nazionale per la riforma in Yemen, nel Movimento tunisino per la rinascita, nel Fis algerino e nel partito Giustizia e sviluppo del Marocco. Il probabile successore di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, dall'età di 14 anni ha militato nella Fratellanza. Mohammed Atta, il capo dei 19 terroristi dell'11 settembre, era iscritto al sindacato degli ingegneri egiziani controllato dai Fratelli musulmani. La moderazione ha sempre prevalso, ma l'estremismo non è mai stato sradicato del tutto. In Egitto non ci sono state manifestazioni di cordoglio per la morte di Bin Laden come in Pakistan: non sono state di massa nemmeno laggiù ma quello è l'unico Paese che possiede la Bomba islamica: testate atomiche sufficienti per raggiungere le città dell'India del Nord. L'esibizione di un solo ritratto di Bin Laden è sufficiente per preoccupare. In Egitto non ci sono state nemmeno espressioni di solidarietà come quelle di Ismail Haniye, il premier di Hamas a Gaza, definite ieri «scandalose» dalla Casa Bianca. Sono più interessanti le nette prese di distanza storiche e politiche di Abu Mazen e dell'Autorità palestinese in Cisgiordania. Ma il generale silenzio delle fratellanze islamiche alimenta il sospetto dell'esistenza di un'area grigia: non è consenso ma nemmeno condanna finale.
Ma che può essere una scappatoia di consenso in una stagione politica in cui le regole del gioco stanno cambiando. Presto gli arabi, soprattutto gli egiziani, voteranno davvero: non più le consultazioni bulgare dei tempi di Mubarak ma partiti, programmi, candidati, più trasparenza, consenso reale e non pilotato. Contro le riforme per il libero mercato del regime precedente, clamorosamente fallite, in economia già stanno emergendo alternative populiste. In politica il messaggio più facile è l'Islam.
La settimana scorsa i Fratelli musulmani hanno pragmaticamente deciso di non presentarsi alle presidenziali previste a fine anno. A quelle parlamentari di settembre correranno per conquistare "fra il 45 e il 50%" dei seggi. Non li vinceranno tutti ma il 30-35 è un risultato probabile e sufficiente per diventare il gruppo di maggioranza relativa: nessun altro partito è così organizzato e radicato nella società. Saranno loro a dirci quale Islam parteciperà alla Primavera araba.
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