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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 06:40.

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ROMA
L'attuale sinistra deve mostrarsi come una «alternativa credibile». Altrimenti resterà all'opposizione. È il ragionamento che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha sintetizzato nel suo intervento al dibattito sulla figura di Antonio Giolitti, con Giuliano Amato ed Eugenio Scalfari. «Chi fa politica a sinistra ed è a quanto pare oggi all'opposizione, dovrebbe leggere la definizione di cosa sia l'alternativa» data da Antonio Giolitti.
Alternativa che per Giolitti deve essere appunto «credibile, affidabile e praticabile. Sono passati quindici anni dal libro in cui Antonio scriveva questa riflessione e lui oggi non c'è più, ma resta vero che o l'alternativa la si immagina così o si resta all'opposizione». E Giolitti, nel definire i caratteri salienti dell'alternativa, osservava come essere credibili significhi in sostanza «mostrarsi capaci di esercitare l'azione di governo», essere affidabili significa «togliersi di dosso il sospetto di volersi insediare al potere come alternativa senza alternativa». Alternativa praticabile vuol dire «rendere realistici e per ciò convincenti» gli obiettivi da raggiungere, gli ostacoli da superare e la gradualità per superarli.
Il problema è che nel nostro paese vi è stata nel corso degli ultimi anni «una drastica sottovalutazione e non conoscenza dell'esperienza della socialdemocrazia. Ma c'era il partito socialista di Craxi e qualcuno, con tutti i discorsi sulla socialdemocrazia, avrebbe detto che lì c'è Craxi». A parere del presidente della Repubblica, occorre riflettere su «quello che oggi non riescono più ad essere i partiti. Se si può parlare di divorzio tra politica e cultura si deve ammettere che è stata una cosa accaduta in entrambe le direzioni, la politica dalla cultura e la cultura dalla politica».
La riflessione è appunto che vi è stato negli ultimi anni un complessivo impoverimento dei partiti. Considerazione che investe evidentemente l'intera classe politica.
Quanto all'esito del voto ieri alla Camera sulle mozioni relative all'intervento italiano in Libia, nessun commento dal Quirinale. L'invito è a riferirsi a quanto precisato nella nota emessa il 2 maggio, in cui si osserva come resti di «esclusiva responsabilità del governo e del Parlamento» la decisione circa gli sviluppi dell'adesione già data dall'Italia agli indirizzi formulati e alle misure autorizzate dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
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