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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2011 alle ore 08:13.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
La Scozia punta all'indipendenza dal Regno Unito; la coalizione fra conservatori e liberaldemocratici si dissolve, idealmente, nel crollo dei LibDem e nella vitalità dei Tory; i supporter di un sistema elettorale capace di premiare la rappresentanza a scapito della stabilità, rinculano, sconfitti. Rivoluzioni inattese e rivoluzioni mancate, il giorno dopo il voto del supergiovedì quando il Regno Unito ha mandato al voto milioni di cittadini per rinnovare migliaia di consigli comunali di varie dimensioni, le assemblee autonome di Scozia, Galles e Irlanda del nord e per misurare il palato dei sudditi di Elisabetta sul delicato tema della riforma elettorale.
Ne è uscito un quadro solo in parte previsto. Era immaginabile lo scivolone dei LibDem che su base nazionale si ritrovano al 15% del consenso, perdendo alcune centinaia di consiglieri comunali, molti più del previsto. Spazzati via dalle amministrazioni locali a favore dei laburisti che, proiettando il voto su base nazionale sarebbero a circa il 37% del consenso, e in parte a favore dei conservatori che hanno ceduto al Labour, ma hanno preso dai LibDem in un calcolo che potrebbe lasciarli vincitori netti e li porta - nel conteggio su tutto il territorio - al 35 per cento. Un'incollatura appena dietro l'oppositore Labour, nonostante l'adagio del voto amministrativo nel corso del mandato parlamentare voglia, normalmente, il crollo di chi sta al potere a favore di chi si oppone. «Abbiamo assorbito noi - ha detto in sostanza il vice premier e leader LibDem, Nick Clegg - il voto di protesta». E non c'è dubbio, almeno in Scozia capace di rubare la scena alla Gran Bretagna tutta, in un giorno che fin dall'alba dava per scontata l'affermazione del "no" ad ogni ipotesi di abbandono del sistema elettorale first past the post, il maggioritario secchissimo.
Molto prima che si sapesse della bocciatura dell'alternative vote con 70% circa di "no" e il 30% di "sì" (affluenza al 41%) era esploso il caso Scozia, destinato, questo sì, a conseguenze di lungo periodo. Lo Scottish national party di Alex Salmond ha conquistato la maggioranza assoluta del Parlamento di Edimburgo con 69 deputati, 23 in più di quanti ne aveva nell'assemblea uscente. Li ha strappati a tutti: LibDem, Labour, Tory. Oggi Salmond può governare da solo - era "premier" uscente in coalizione con i laburisti - e soprattutto può chiedere il referendum sull'indipendenza. Anzi, lo ha già fatto. Ieri pomeriggio mentre dalle urne non era uscita ancora l'ultima scheda, il leader dello Snp, salutava il suo popolo confermando che il Parlamento dominato dai nazionalisti indirà un referendum. Agli scozzesi, quindi, il diritto di autodeterminazione che oggi, in realtà, non porterebbe alla distacco dal Regno. La maggioranza è contraria e Salmond attenderà a lungo prima di lanciare la consultazione. Il premier David Cameron ha subito fatto sapere che «farà di tutto per tenere unito il Paese».
Altri, più complessi, equilibri attendono ora la coalizione che governa il Paese. Nick Clegg è stato cristallino nel riconoscere il crollo del partito, ma rapido nel riaffermare la fedeltà all'alleanza di Governo. Parole che Cameron ha fatto sue, ma che non bastano a lenire le piaghe di una campagna elettorale devastante. La grande crisi fra gli alleati di Governo s'è consumata sul referendum con i Tory fautori dello status quo e i LibDem sostenitori dell'alternative vote che dà sfumature di proporzionale sul maggioritario di foggia inglese.
Per Nick Clegg quel "no" tanto ridondante è stato il fallimento di una strategia politica. L'alleanza di Governo è maturata proprio attorno al patto elettorale, ovvero alla convocazione della consultazione sulla riforma del meccanismo di voto. L'alternative vote avrebbe, infatti, garantito ai LibDem una maggiore e più stabile presenza a Westminster. Non sarà così e gli effetti del "no" restano sospesi in aria. La coalizione per ora dovrebbe reggere, non è detto però che Nick Clegg riesca a fare altrettanto, a resistere, cioè, alla pressione di un partito che da ieri dubita della sua leadership.
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I RISULTATI DELLE CONSULTAZIONI

La sconfitta di Clegg
Batosta per il LibDem di Nick Clegg (nella foto) nel primo test per la coalizione di Governo formata con i conservatori di David Cameron. Nelle amministrative inglesi i LibDem - secondo le elaborazioni della Bbc - hanno perso 636 seggi (sui 1.850 che avevano); i Conservatori hanno guadagnato 55 seggi (ne avevano 5.000); il Labour ha aggiunto 757 seggi ai 1.600 che già aveva. In Galles nell'assemblea si conferma la maggioranza formata da Labour (30 seggi) e Plaid Cymru (11 seggi)
Scozia e indipendenza
Lo Scottish National Party ha conquistato per la prima volta la maggioranza nel Parlamento scozzese con 69 seggi su 129 (un balzo di 23 seggi). Alex Salmond (nella foto sotto), il leader del partito indipendentista, ha dichiarato che questo risultato apre la via a un referendum sulla separazione della Scozia dal Regno Unito. Il Labour è sceso a 37 seggi; i Conservatori a 15; i LibDem a 5 seggi. Altri partiti hanno preso 3 seggi
Il referendum elettorale
Ieri sera sembrava certa la sconfitta dei LibDem di Clegg anche nel referendum sul sistema elettorale. Per gli analisti della Bbc il "No", il fronte contrario al cambiamento del maggioritario secco, ha conquistato il 70% dei voti. Bocciato l'"alternative vote" sul quale Clegg si è giocato la faccia

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