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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2011 alle ore 06:42.

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Esattamente un anno fa i Paesi dell'area euro intervennero in una storica riunione del Consiglio europeo per salvare la Grecia, istituire un sistema di assistenza finanziaria e fermare il contagio che era arrivato a lambire anche la Francia. Da allora per dodici mesi i Governi dei 17 Paesi si sono confrontati per costruire una "soluzione complessiva" che desse risposta ai molti problemi emersi nei due anni precedenti.
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Quali problemi? Una migliore governance economica, un calendario di impegni e verifiche reciproci, un meccanismo permanente di soluzione delle crisi, un patto per rendere più competitivi i Paesi e infine un nuovo sistema di regolazione finanziaria. Nei Consigli europei di marzo hanno così costruito una cornice di medio termine convincente, anche se da verificare nella sua concreta attuazione. Tuttavia se questi dodici mesi sono stati una lunga Odissea istituzionale, Ulisse alla fine del suo viaggio non si è ritrovato a Itaca. Infatti ciò che era rimasto fuori dalla soluzione complessiva era proprio la Grecia.
La convinzione che Atene potesse tornare a finanziarsi sui mercati entro un anno e che quindi non avesse più bisogno di assistenza era ingenua. Il nuovo declassamento dei titoli greci, ieri, da parte di Standard & Poor's dà appieno il clima di sfiducia nei mercati che sui bond decennali chiedono un impossibile 15,63%. L'ultimo rapporto della troika (Ue-Bce-Fmi) sull'economia greca riconosce che ci vorranno 5-6 anni per recuperare il 10% della competitività persa dal Paese. Ce ne vorranno altrettanti dunque per chiudere il divario accumulato, stabilizzare la bilancia dei pagamenti e non dover dipendere troppo da finanziamenti esteri.
La nuova cornice europea non agevola il riequilibrio dell'economia greca su un periodo tanto lungo. Dopo il 2013 anzi le condizioni degli aiuti peggioreranno. I tassi a cui il nuovo meccanismo di stabilità presterà denaro sono penalizzanti. È vero che nel 2015-2016 il Fondo monetario prevede una crescita vigorosa dell'economia, ma tassi d'interesse del 6% su un debito pari al 160% del Pil richiederebbero una crescita doppia di quella stimata. Inoltre dopo il 2013 ogni titolo del debito greco porterà una clausola che esplicita il rischio di perdite per gli investitori privati in caso di insolvenza. Difficile che ciò faccia calare i tassi.
Bisogna essere chiari. Atene va aiutata con prestiti a tassi almeno pari a quelli medi dell'area euro, qualunque cosa dica la Corte costituzionale tedesca, oppure non ce la farà. E se non ce la farà sappiamo che l'intera area dell'euro ne sarà coinvolta: le banche tedesche, francesi e olandesi, i Paesi della periferia su cui si scatenerà il contagio e infine le stesse banche centrali che negli ultimi tre anni sono subentrate alle banche commerciali nel finanziare gli squilibri delle bilance dei pagamenti dei Paesi euro e a cui fanno capo quindi centinaia di miliardi di debiti e crediti finanziari. Le reazioni di questi giorni alle cattive notizie greche sono solo un antipasto.
L'Italia è paradossalmente al centro di questo gioco. Da giugno 2013 l'attuale fondo di assistenza finanziaria (Efsf) sarà sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm) che avrà una capacità di 500 miliardi. Se il Fondo monetario continuerà ad affiancare gli aiuti europei, il totale delle risorse sarà di 750 miliardi. Un volume di prestiti sufficiente a coprire tre anni di finanziamenti pubblici dei Paesi della periferia: Grecia, Irlanda, Portogallo e anche Spagna. Se uno solo di questi fallisse - facciamo appunto l'ipotesi della Grecia - i mercati aumenterebbero di molto il premio al rischio dei Paesi più indebitati. Anche l'Italia finirebbe per trovarsi in difficoltà. In questa ipotesi - certamente irrealistica - Roma dovrebbe chiedere assistenza ai partner e gli altri Paesi dovrebbero recuperare altri 800 miliardi per la copertura di tre anni di finanziamento del debito italiano. Il totale delle garanzie che i Paesi a tripla-A dell'Eurozona si troverebbero a sottoscrivere sarebbe tale da metterli in difficoltà. Per Francia e Germania significherebbe impegnarsi per il corrispettivo del 20% del Pil nazionale. I debiti pubblici dei due Paesi implicitamente aumenterebbero di altrettanto e la Francia perderebbe immediatamente la tripla A. L'onere finirebbe quasi interamente sulle spalle della Germania che a sua volta sarebbe schiacciata da un peso paragonabile a quello della riunificazione tedesca. Di fatto dunque salvare l'Italia sarebbe impossibile.
Per questo la "soluzione complessiva" dei Consigli di marzo non si è occupata granché di Grecia, ma si è occupata molto chiaramente dell'Italia introducendo criteri di stabilità fiscale centrati sulla riduzione del livello del debito pubblico. Questa è la responsabilità che dovrebbero avere chiara ogni giorno i legislatori italiani.
Se tutto ciò non fosse sufficiente e se alla fine l'Italia - come detto si tratta di ipotesi estreme - dovesse essere salvata, non resterebbe che la Bce, chiamata come negli ultimi due anni ad acquistare direttamente o indirettamente i titoli pubblici. Anche una banca centrale tuttavia può far leva sulla quantità di moneta solo entro certi limiti, che probabilmente si esaurirebbero attorno al 2015-2016. Oltre quella data dovrebbe stampare moneta e accettare che ciò significhi un'inflazione crescente. Questo non è ammissibile per Statuto e non è accettabile per molti cittadini europei che giustamente la considererebbero una violazione dei Trattati europei.

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