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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2011 alle ore 20:19.

Ci sono le evergreen, come l'anti-mafia, che si rinnova ormai a ogni legislatura. E ci sono le commissioni d'inchiesta nate e morte nel giro di poco tempo, spesso senza aver lasciato dietro di sé tracce durature. E poi ci sono le commissioni che hanno provato a cavalcare la storia: dall'inchiesta sulla tragedia del Vajont all'omicidio di Aldo Moro o del banchiere Michele Sindona. Senza contare le commissioni invocate più volte e mai partorite. Una su tutte: quella su Tangentopoli. Il primo a chiederla fu Bettino Craxi nel 1993, ma non se ne fece mai nulla. «Il centro-destra - racconta Beppe Calderisi, deputato del Pdl - la ritirò spesso fuori ma non si arrivò mai a un accordo».

Si parte nel 1952 con una inchiesta sulla miseria in Italia
Eppure la storia delle commissioni è ricca e comincia nel lontano 1952 quando fu deliberata dalla Camera la prima commissione parlamentare sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla. Poi qualche mese dopo fu invece la disoccupazione a offrire lo spunto, sempre a Montecitorio, per la nascita di una commissione ad hoc. «Con il passare degli anni - spiegano dalla Camera - le commissioni d'inchiesta sono proliferate e hanno perso quel carattere "di pubblico interesse", richiamato nell'articolo 82 della Costituzione, per diventare strumento di scontro politico tra i due poli». Basta guardare alla storia recente, che annovera vicende emblematiche, come le commissioni sul dossier Mitrokhin (sui presunti archivi dei collaboratori italiani dei servizi segreti dell'Est) e sullo scandalo di Telekom Serbia, relativo all'acquisto di azioni dell'azienda telefonica da parte di Telecom Italia. Entrambe segnate da violente contrapposizioni tra maggioranza e opposizione senza che si sia mai arrivati a individuare i responsabili.

Dal caso Moro alla loggia massonica P2
Scorrendo il dettagliato resoconto sulle commissioni d'inchiesta sfornato dall'archivio storico del Senato si scopre che a prevalere sono soprattutto quelle con compiti paragiudiziari di indagine: dalla commissione sul fenomeno della mafia (che debuttò la prima volta nel lontano 1963) a quella sul terrorismo e le stragi, che ha preso avvio con l'indagine sul caso Moro nell'ottava legislatura, all'indomani dell'assassinio del presidente della Dc, e che è arrivata come "commissione stragi" fino alla tredicesima (1996-2001). «Generalmente le commissioni che si sono sovrapposte a inchieste giudiziarie non sono arrivate a risultati molto significativi - ragiona Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl ma anche attento osservatore delle dinamiche parlamentari -. Basti pensare all'inchiesta sul caso Moro che non andò oltre i riscontri giudiziari o quella sulla loggia massonica P2. La relazione "Anselmi", che chiuse il lavoro, lasciò in ombra molti interrogativi e anche la commissione Stragi, che dal 1989 decise di occuparsi anche di Ustica, finì per arenarsi di fronte alla ricerca dei responsabili della strage del Dc-9 dell'Itavia ».

Luci e ombre della commissione Stragi
E a poco sono valse anche le commissioni sorte a ridosso di grandi tragedie naturali come quella sul disastro del Vajont (che vide la luce nel 1964) o sul post terremoto in Basilicata e Campania (X legislatura). I cui componenti arrivarono più volte nei luoghi colpiti dal sisma ma lasciarono irrisolti i nodi della cattiva gestione delle risorse destinate alla ricostruzione. Luci e ombre, insomma, come ricorda anche il centrista Mario Tassone, oltre 30 anni di Parlamento alle spalle, che è stato più volte membro delle commissioni d'inchiesta. «Ricordo in particolare - racconta il parlamentare - i cinque anni passati in commissione Stragi nella XIII legislatura (1996-2001). Lavorammo moltissimo, ma la raccolta ingente di dati non è stata proporzionata ai risultati raggiunti. Tenemmo numerose audizioni, anche di terroristi, ma non ci fu una relazione finale. Giungemmo persino a Johannesburg, in Sudafrica, dove era fuggito il generale Gianadelio Maletti che era ai vertici dei servizi segreti negli anni '70 e che ci chiese di andare da lui (era latitante dal 1980, ndr) per raccontarci le sue verità sulla stagione delle stragi (leggi i documenti della commissione)».

La mancata audizione di Craxi e la rivelazione di Buscetta
La commissione, presieduta dal senatore Pellegrino, fu "chiamata" anche da Bettino Craxi, che aveva chiesto di essere ascoltato ad Hammamet, ma quell'incontro non ebbe mai luogo. «Avevamo preparato tutto per partire - prosegue Tassone - ma fummo bloccati e, dopo svariati tentativi, la cosa morì lì. Quella vicenda rimase avvolta nell'ombra e in commissione convocammo anche l'allora ministro degli Esteri, Lamberto Dini, per capire che ruolo avesse avuto il Governo, ma non ne cavammo nulla». Storie di fallimenti, quindi, in alcuni casi. O di successi insperati in altri. Come accadde il 16 novembre 1992 quando fu la commissione antimafia, allora presieduta da Luciano Violante, a raccogliere la deposizione choc del pentito Tommaso Buscetta. Che, per la prima volta, proprio davanti a deputati e senatori, rivelò l'esistenza del "terzo livello" della mafia: il legame tra i boss e il mondo politico.

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