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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2011 alle ore 09:04.

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Il presidente degli Stati Uniti, Barack ObamaIl presidente degli Stati Uniti, Barack Obama

Barack Obama non ha bisogno del corpo di Osama Bin Laden, e nemmeno del gran discorso al mondo arabo e islamico di giovedì prossimo, per assicurarsi la rielezione alla Casa Bianca il 6 novembre del 2012. A quello ci pensa con maggiore efficacia il fiacco campo degli sfidanti repubblicani.

L'operazione militare guidata da Obama nel rifugio terrorista di Abbottabad, in Pakistan, ha spazzato via i dubbi di una parte dell'opinione pubblica sulle doti di leadership e sulle capacità di comandante in capo del giovane presidente. Ma la grande forza di Obama 2012 è soprattutto la debolezza degli avversari. Nessuno dei dodici possibili candidati repubblicani sembra oggi in grado di reggere il confronto con il presidente.

A livello nazionale, secondo i sondaggi vecchi e nuovi, Obama sconfiggerebbe agevolmente uno per uno i dodici repubblicani, nonostante i dati sull'occupazione, il costo della benzina e una certa incertezza sul futuro non siano mai elementi favorevoli a un presidente in carica.

Il paradosso, però, è che la fine di Bin Laden possa favorire anche i repubblicani. Dalla guerra del Vietnam in poi, a torto o a ragione, la destra conservatrice è considerata dagli americani più affidabile sulle questioni di sicurezza nazionale. I risultati ottenuti da Obama, grazie anche alla conferma dell'architettura antiterrorismo costruita dopo l'11 settembre da George W. Bush, potrebbero anche aver ribaltato la percezione. Ma in realtà il tavolo della politica estera era già stato fatto saltare dai repubblicani per ragioni ben precise. Nessuno dei dodici possibili candidati, infatti, ha competenze, esperienza e profilo di sicurezza nazionale. I dodici repubblicani vogliono affrontare Obama sulle questioni di politica interna, sui conti federali, sul debito pubblico, sulla riforma della sanità, sulle tasse. L'uscita di scena di Bin Laden facilita questa strategia.

Le possibilità dei repubblicani sono poche, ma ci sono. Al Senato, intanto, potrebbero conquistare la maggioranza perché su 33 dei seggi in palio i democratici dovranno difenderne 23 e i repubblicani soltanto 10. Ai conservatori basterà confermare i propri e strapparne 4 agli avversari.

La strada per la Casa Bianca è più complicata. Senza un leader serio, competente e riconoscibile, una vittoria è improbabile. Ma se si incrociano i risultati delle elezioni di metà mandato dell'anno scorso con il peculiare sistema di voto presidenziale (538 Grandi elettori suddivisi tra i 50 stati, maggioranza a 270), una possibilità politica e aritmetica c'è. La formidabile campagna elettorale di Obama del 2008 ha sconfitto la scricchiolante macchina politica di John McCain con uno scarto di 192 grandi elettori.

Il prossimo anno lo sfidante di Obama per diventare presidente dovrà strappargliene 97, anzi soltanto 91 visto che il nuovo censimento ha ridistribuito i Grandi elettori in modo favorevole agli stati più conservatori. Gli Stati Uniti sono tradizionalmente divisi tra stati repubblicani e democratici, restringendo la partita a quei cinque stati in bilico che nel 2004 sono andati a Bush e nel 2008 a Obama: Ohio, Florida, Virginia, Indiana e Wisconsin. In totale, lì, ci sono 81 Grandi elettori a disposizione.

Con i risultati del midterm dell'anno scorso, quegli 81 voti andrebbero ai repubblicani. In questi cinque stati, l'appeal di Obama non è più quello di tre anni fa, e i sondaggi locali ne risentono. Il presidente rischia anche altrove, dalla North Carolina al Colorado, dal Nevada al Minnesota. Altri stati (e 40 voti) che Obama ha conquistato nel 2008, ma dove l'anno scorso i repubblicani sono riusciti ad essere più che competitivi.

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