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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2011 alle ore 18:20.

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Nessuno è profeta in patria. Qualche volta il proverbio, di evangelica ascendenza, può essere applicato anche al tennis. Certo dalle Williams a McEnroe, da Panatta a Noah, passando per Connors e Roddick, la lista delle eccezioni è davvero lunga. Ma provate a chiedere a Tim Henman oppure ad Andy Murray, a Pat Cash, ad Amélie Mauresmo o, per esempio, a Patrick Rafter… Vi accorgerete che non sono poi così pochi i giocatori che hanno sempre fallito l'appuntamento con il torneo di casa.

Se sia la tensione, la voglia di fare bene davanti al proprio pubblico, la pressione imposta dai media o chissà cos'altro non è una questione facile da dirimere, resta il fatto che giocare nella propria nazione non è sempre un vantaggio. Di certo non lo è per Francesca Schiavone. Regina lo scorso anno del Roland Garros, inclusa nella rosa del Masters, arrivata ad occupare il quarto posto del ranking, a Roma la Leonessa non ha mai raggiunto le semifinali.

Il quattro, si è rivelato, più di una volta il numero di Francesca. E anche in questo caso ritorna, con un'ostinazione quasi cabalistica, ma trasformato in un simbolo a metà tra la maledizione e il tabù. Per quattro volte infatti (nel 2001, 2004, 2005 e oggi) la Schiavone è approdata ai quarti del più prestigioso torneo italiano, senza mai riuscire, però, a superare il turno.
Di tutte queste, comunque, l'occasione di oggi appariva come la più ghiotta. Non perché l'avversaria, Samantha Stosur, non fosse una rivale degna del massimo rispetto. Anzi. La nostra, però, l'aveva già sconfitta nella splendida finale di Parigi dello scorso anno. Ma, soprattutto, con le Williams fuori dai giochi, la Henin ritirata e la Clijsters assente, questa edizione degli Internazionali d'Italia poteva anche essere alla portata di Francesca. Alzi la mano chi tra gli aficionados italiani non l'ha, quanto meno segretamente, sperato…

Alla vigilia del match, la tennista milanese aveva profeticamente dichiarato:« Chi prende l'iniziativa, vince…». Vero. Peccato che, sul campo, a giovarsi di tale intuizione tattica sia stata l'australiana. Certo, una cosa è sapere quello che si dovrebbe fare in partita e un'altra è riuscire a mettere in pratica i buoni propositi.

La Schiavone, inoltre, a Roma non si era presentata in forma smagliante e, per di più, aveva dato l'impressione, al di là delle dichiarazioni di rito, di soffrire la pressione del pubblico di casa. Troppi sospiri e lamenti di una platea che era tutta per lei accompagnavano i suoi errori. All'affetto degli spettatori Francesca rispondeva con manifestazioni di gioia forse eccessive quando metteva a segno un bel colpo, quasi si sentisse obbligata ad esultare come gli spalti di ammiratori richiedevano.
Indecisa, fallosa, poco lucida, la Leonessa è partita subito male. Un doppio fallo in apertura, un break subito e l'avversaria che volava subito sul 2/0 e poi sul 5/1, prima di chiudere il set con un secco 6/2. Il match riguadagnava un po' di equilibrio nella seconda frazione che proseguiva senza scossoni fino al 4/4.

Non un incontro spettacolare, deciso com'era più dagli errori commessi da entrambe le parti che dai vincenti messi a segno. Tuttavia il pubblico provava ad incitare la sua eroina, sperando in un ritorno della Leonessa. L'illusione, tuttavia, sarebbe durata poco e precisamente fino al nono game, con la Stosur che strappava il servizio a Francesca e si portava sul 5/4 per chiudere al game successivo, spegnendo i sogni della Schiavone e quelli del pubblico del Foro Italico.

In questa giornata che ha visto l'eliminazione dell'ultima azzurra rimasta in gara, arriva anche la notizia dello stop di Dinara Safina. Un'interruzione dell'attività agonistica a tempo indeterminato che, pur considerando la giovane età, suona quasi come un ritiro definitivo. A 25 anni, la sorella di Marat Safin è costretta a interrompere una carriera ormai tutta in salita per colpa dei seri problemi alla schiena che da tempo la affliggono. Due volte finalista a Parigi, una a Melbourne, già numero uno del mondo, Dinara non sembrava avere il talento necessario ad occupare una posizione raggiunta più in virtù dello spirito di abnegazione e della tenacia che di reali doti tecniche. Poca classe, insomma, ma voglia di combattere e determinazione da vendere…
« Voglio una vita normale, senza più sofferenza» ha dichiarato. Lei che pareva dover lottare e soffrire ad ogni punto, per avere ragione di avversarie più talentuose ma, spesso, meno agguerrite. L'augurio che il mondo del tennis non può che rivolgerle oggi è di superare, con la grinta che l'ha sempre contraddistinta, anche i problemi fisici che l'hanno obbligata, troppo presto, a fermarsi.

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