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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2011 alle ore 08:12.

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ROMA
Due su tre hanno perso la poltrona, saltati come tappi di champagne. Cambiano i governatori e le maggioranze nelle Regioni, si spostano gli equilibri nelle giunte confermate, e i manager di Asl e ospedali perdono il posto. Re travicelli seduti su bilanci da 106 miliardi l'anno, i Dg delle aziende sanitarie sono fuscelli al vento della politica. Ma non chiamatelo spoil system e non cercate sotto la giacca da manager la maglietta del partito sponsor: vi diranno che la selezione è tutta sui meriti.
Se nei Comuni i partiti si preparano a possibili spartizioni nella gestione dei servizi locali, per le Regioni è già possibile sapere cos'è successo. A un anno dalle regionali del 2010 col rinnovo di 13 governi locali, la Fiaso, associazione di manager del Ssn, ha fatto un bilancio per dimostrare che il tasso di cambiamento ai vertici delle Asl-polveriera è direttamente proporzionale al mutamento politico nelle giunte. Mentre è una variabile quasi indipendente la conferma o meno per efficienza o inefficienza dei manager che scadono. Non sempre, è chiaro, la scelta del manager è sinonimo di lottizzazione. Ma il dubbio spesso resta. Anche se i governatori replicheranno: se i conti tornano e se la Asl è azienda strumentale della Regione, chi governa deve scegliere persone di fiducia. E, si giura, di qualità.
Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso – commissario straordinario in Piemonte (centrodestra con presidente leghista) ad Alba Bra dove col centrosinistra era Dg – ha parole amare: «In campagna elettorale si sprecano gli appelli bipartisan affinché la politica faccia un passo indietro dalla gestione sanitaria. I cambiamenti vorticosi di questi mesi ai vertici delle aziende, anche con bilanci in pareggio e ottime performance, dimostrano però quanto sia difficile passare dalle parole ai fatti. Basta un semplice mutamento degli equilibri politici per andare a casa, senza liquidazioni o stock option, indipendentemente dal fatto che si sia fatto bene o male». Come dire: è pura utopia una sanità impermeabile alle interferenze della politica sugli appalti o sulle nomine dei primari.
Intanto i dati dicono di 48 manager confermati e di 98 respinti, o quasi. In attesa che la Puglia decida a breve cosa fare dei suoi 10 Dg da selezionare con regole nuove di zecca, tra i manager non confermati in 20 hanno trovato posto in altra azienda, 4 sono direttore amministrativo o sanitario, in 6 sono tornati al vecchio impiego. Ecco poi la folta pattuglia dei commissari: 7 in Calabria e 8 in Campania dove nessun Dg è stato confermato dalle nuove giunte di centrodestra, 19 in Piemonte col 21% di vecchi Dg, 3 nel Lazio, 1 in Liguria, 2 in Puglia (e Sardegna), 1 in Umbria. In Emilia (giunta stabile) il 33% è stato confermato, nel Lazio (nuova giunta) solo il 12%, nelle Marche (stessa giunta) il 25%. E ancora: in Toscana (stessa maggioranza) il 62% è rimasto e il 13% è andato in altra azienda, l'Umbria (giunta stabile) ne ha cambiato la metà, il Veneto (stessa maggioranza, ma con governatore leghista) ne ha spostato solo uno, la Lombardia (maggioranza stabile ma con la Lega più forte) ne ha confermato il 39% mentre il 43% è andato in un'altra azienda e 14 sono a spasso.
Certo poco ci sarebbe da dire sul ricambio dove la sanità è commissariata dal Governo: Campania, Calabria e Lazio in testa. «Il management ha una consistente pattuglia di professionisti con buona formazione ed esperienza», assicura Monchiero. Che precisa: «Lo spartiacque tra politica e gestione è dato dai criteri di conferma o revoca ancorati a risultati di gestione e da criteri di selezione più rigidi». Intanto gli stipendi cambiano anche del 40% da una Regione all'altra. L'altra associazione dei manager (Federsanità-Anci), ricorda che gli incentivi sono una rarità. «Altro che premiare il merito», afferma il presidente Lino Del Favero. Se i meriti ci sono, è chiaro.
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