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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2011 alle ore 08:13.

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NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Doppio affondo politico della Casa Bianca, in chiave elettorale populista e mirato a cercare un compromesso (difficile) con il settore petrolifero in vista del voto della settimana prossima per l'eliminazione di certe concessioni fiscali al settore. Così ieri nel suo discorso del sabato, il presidente ha dato da una parte l'ok a procedere con nuove trivellazioni in Alaska e nel Golfo del Messico, dall'altra ha lanciato un attacco frontale contro i grandi del settore petrolifero per le loro resistenze a certe proposte di legge in discussione al Senato. Resistenze non del tutto campate per aria dal loro punto di vista: il nuovo disegno di legge elimina certe agevolazioni fiscali e porterebbe un aumento di tasse per 4 miliardi di dollari sul settore.
Con l'iniziativa in Alsaka e Golfo del Messico Obama risponde alle ansie degli americani che spendono ormai oltre 4 dollari al gallone al distributore. Non siamo proprio al «drill baby drill» di Sarah Palin, ma pur con tutte le garanzie ecologiche del caso si aprono nuovi territori all'estrazione del greggio per contribuire ad aumentare la produzione interna e «rendere il Paese meno dipendente dalle importazioni». Secondo quanto ha detto ieri Obama, il dipartimento per gli Interni concederà licenze di esplorazione per il National Petroleum Reserve, un'area di 95mila chilometri quadrati nella parte nord dell'Alaska e in nuove aree del Golfo del Messico. L'operazione avverrà con tempi adeguati per poter consentire alle aziende di rispettare le richieste del Governo americano in termini di sicurezza e rispetto dell'ambiente, soprattutto dopo la tragedia ecologica di Bp nel Golfo del Messico. Ma l'iniziativa risponde anche alle pressioni dei vertici delle società petrolifere e di alcuni senatori, tra cui la repubblicana Lisa Murkowski e il democratico Mark Begich. Per Obama resistere poteva essere problematico: la gente non ha dubbi, mette il portafoglio davanti a una responsabilizzazione ecologica. E se ci si fosse trovati nel mezzo della campagna elettorale che partirà in pieno in autunno con un veto ostinato a nuove esplorazioni nel momento in cui il prezzo del greggio sale alle stelle, Obama ne avrebbe sofferto.
In questo modo il presidente gioca d'anticipo, risponde alle ansie degli americani. E se da una parte strizza l'occhio alle compagnie petrolifere, dall'altra cerca un baratto. Nella proposta di ieri di Obama infatti, c'è un caveat: se i vantaggi della nuova produzione non ricadranno sul consumatore americano, l'equazione non torna. Dunque, dice il presidente, che cedano sul fronte fiscale e che diano garanzie di non essere coinvolti in movimenti speculativi: «Dobbiamo essere certi che nessuno se ne approfitti alle spalle del consumatore al distributore di benzina – ha detto ad esempio Obama nel suo discorso di ieri – per questo ho chiesto al segretario per la Giustizia di condurre un'inchiesta per essere certi che non vi siano manipolazioni dei prezzi con l'unico intento di favorire la speculazione».
L'attacco alle grandi del petrolio è coordinato. Jay Carney, il portavoce di Obama ha detto che gli incentivi fiscali ancora concessi alle compagnie petrolifere, «semplicemente folli e insostenibili occorre lavorare per ridurre il deficit e investire altrove». Ma che si pensi già alle elezioni lo conferma una lettera di ieri di Jim Messina, il grande stratega politico di Obama rientrato a Chicago per la lavorare alla campagna con David Axelrod: «I cinque Ceo delle più grandi aziende petrolifere che nel primo trimestre hanno fatto insieme profitti per 36 miliardi di dollari sono andati al Senato per combattere l'eliminazione di una contraddizione fiscale che gli consente di risparmiare 4 miliardi di dollari. Questo è ingiusto e sbagliato. Ma è un ottimo ritorno sul loro investimento di 145 milioni di dollari per 800 lobbisti: un ritorno del 2700% se l'errore non sarà abrogato. Non consentiremo che lo realizzino».
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Prezzi dei carburanti minaccia per la ripresa Usa
Corsa inarrestabile
I prezzi della benzina stanno creando un allarme crescente negli Stati Uniti: secondo il dipartimento del Commercio, nel mese di aprile sono saliti del 3,3% e addirittura del 33,1% su base annua. Il presidente Obama ha detto senza mezzi termini che, con la debolezza del settore immobiliare, è questo il principale «vento contrario» per l'economia americana. Di qui, e dal pressing dei repubblicani, la decisione di procedere con le trivellazioni
Basta dipendenza
Il grafico a sinistra dà un'idea di quanto gli Stati Uniti siano alla mercé della produzione di greggio di altri Paesi per la soddisfazione del proprio fabbisogno. Le nuove licenze annunciate da Obama per il National Petroleum Reserve, un'area di 95mila chilometri quadrati nella parte nord dell'Alaska e in nuove aree del Golfo del Messico puntano proprio a limitare la dipendenza dall'estero di greggio

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