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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 06:38.

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È toccato al consigliere anziano del Fondo monetario, l'egiziano Shakour Shalaan, avviare ieri i primi contatti per la selezione del nuovo direttore, dopo le drammatiche dimissioni di Dominque Strauss-Kahn. Il consiglio, che ha 24 componenti in rappresentanza dei 187 Paesi membri dell'Fmi, si è riunito ieri e si riunirà di nuovo nella giornata di oggi. Ma l'iniziativa è fermamente nel campo degli europei, che intendono, malgrado l'opposizione dei Paesi emergenti, far rispettare la tradizione secondo cui la posizione deve andare a uno dei loro e si stanno rapidamente coalizzando attorno al nome del ministro dell'Economia francese, Christine Lagarde.
«Sarebbe un'ottima scelta», ha dichiarato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, unico capo di Governo europeo a fare il nome del rispettato ministro francese. Il cancelliere tedesco Angela Merkel aveva in precedenza rivendicato la scelta di un europeo, a fronte della crisi che ha investito l'area dell'euro e che ha fatto dell'Europa «l'epicentro» delle turbolenze dell'economia globale, secondo il premier lussemburghese, Jean-Claude Juncker. E il presidente francese, Nicolas Sarkozy, che stava pensando alla Lagarde all'Fmi fin da prima dello scandalo che ha travolto Dsk, nell'aspettativa che questi si dimettesse per partecipare alle presidenziali proprio contro di lui, ha solo detto che l'Europa presenterà un nome di «altissima qualità». La stessa Lagarde si è limitata a osservare che l'Europa dovrà avere un candidato unico. Solo il governatore olandese, Nout Wellink, ha citato il presidente uscente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, come candidato ideale.
Al momento, l'ostacolo maggiore alla nomina della Lagarde può essere un'inchiesta avviata giusto dieci giorni fa in Francia su un arbitrato chiesto dal ministro e che ha portato l'Erario a dover sborsare un mega indennizzo al miliardario Bernard Tapie.
Sia la Merkel sia Timothy Geithner, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, la cui posizione sarà decisiva, hanno insistito ieri sulla necessità di fare presto nella selezione del nuovo direttore, che in passato ha richiesto anche diversi mesi. Nel frattempo, la guida dell'Fmi è passata a interim al numero due John Lipsky, il quale però a sua volta aveva annunciato l'intenzione di lasciare a fine agosto al termine del suo mandato. Sarà Lipsky a rappresentare il Fondo al vertice del G-8 la prossima settimana a Deauville, dove inevitabilmente i capi di Stato e di Governo discuteranno la questione.
Un asse fra Europa, Usa e altri Paesi avanzati sarebbe sufficiente a far passare con il 51% dei voti un candidato europeo, ma, come ricordava ieri una nota dell'Fmi, «l'obiettivo del consiglio è di eleggere il direttore con il consenso» dei Paesi membri. In questa occasione, il consenso potrebbe rivelarsi difficile da raggiungere.
Molti Paesi emergenti sono convinti che stavolta tocchi a loro esprimere la guida dell'istituzione di Washington. Il ministro brasiliano, Guido Mantega, che negli ultimi anni ha spesso assunto l'iniziativa di coagulare gli altri Brics (Russia, India, Cina e ora anche Sudafrica) ha scritto una lettera ai suoi colleghi del G-20, che riunisce i tradizionali Paesi industriali con le nuove potenze emergenti, dichiarando che «è ormai passato il tempo in cui era appropriato riservare la posizione a un europeo», ma ha chiesto per ora solo che «tutti vengano consultati». Due anni fa, il G-20 ha decretato che il processo di selezione deve essere «aperto, trasparente e basato sul merito».
Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca centrale della Cina, la posizione della quale viene scrutata con attenzione, ha ricordato che «il vertice del Fondo deve riflettere la struttura dell'economia globale», ma significativamente ha parlato di «top management» e non del direttore. Finora, gli emergenti non sembrano aver trovato un nome su cui concentrarsi: i più forti sono il sudafricano Trevor Manuel e l'ex ministro turco Kemal Dervis (che però non avrebbe l'appoggio del suo Governo). Tharman Shanmugaratnam, lo stimato ministro delle Finanze di Singapore, è stato nominato ieri anche vicepremier in un rimpasto di Governo, e questo, a suo dire, mette la parola fine a una sua candidatura all'Fmi.
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