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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 06:38.
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La diga delle Tre gole sta avendo un impatto ambientale devastante sulla valle del fiume Yangtze. Non è una novità. Per anni esperti, associazioni ambientaliste, scienziati di fama internazionale hanno ammonito la Cina sulla rischiosità del progetto che ha portato alla realizzazione dell'impianto idroelettrico più grande del mondo. Ma ora, proprio mentre Pechino si trova a fronteggiare una delle peggiori siccità degli ultimi anni, ad ammetterlo è lo stesso Governo cinese. Un Governo che, dopo aver difeso strenuamente contro ogni evidenza scientifico-razionale il mostro di ferro e cemento costruito per intrappolare il Fiume Azzurro, si trova costretto ad ammettere un doppio fallimento. Il primo è rappresentato dagli effetti disastrosi provocati dalla gigantesca infrastruttura sull'ecosistema. Il secondo dalla discutibile valenza economica e strategica di una centrale idroelettrica che da giorni non riesce più a far girare le turbine per mancanza d'acqua.
La diga delle Tre gole ha prodotto effetti negativi sul sistema dei trasporti, sull'ambiente, sulle reti d'irrigazione e sull'approvvigionamento idrico in tutta la valle dello Yangtze, avverte il Consiglio di Stato. Il supremo organo amministrativo cinese sottolinea che è necessario trovare soluzioni immediate anche ad altri problemi strettamente correlati alla costruzione della diga: la sopravvivenza delle popolazioni sfollate per consentire la realizzazione del progetto; la protezione dell'ecosistema; la gestione dei rischi geologici.
Erosioni terrestri, inquinamento dell'acqua, carenza di terra coltivabile, frane violente. Pochi anni dopo l'inaugurazione, le più funeste previsioni degli oppositori del progetto si sono avverate. E ora Pechino è costretta ad ammettere il clamoroso errore.
E che errore. Alta 185 metri, lunga 2,3 chilometri, 85 miliardi di kilowatt di potenza installata, la più imponente opera infrastrutturale nella storia dell'umanità è costata 25 miliardi di dollari. Il 20% in più rispetto a quanto preventivato nel 1993 quando fu posata la prima pietra. «I vantaggi generati dalla costruzione della diga saranno largamente superiori agli svantaggi», è andato ripetendo per anni il Governo. Posizione assurda, ma comprensibile politicamente. Per creare il gigantesco bacino idrico a monte della diga, infatti, sono stati cancellati dalla carta geografica 75 cittadine e 1.500 villaggi situati nel corso superiore dello Yangtze.
E i loro abitanti, circa un milione e mezzo di persone, sono stati "rilocalizzati" altrove, talvolta anche a migliaia di chilometri di distanza. A fronte di una devastazione eco-ambientale e di una deportazione di massa di tali proporzioni, era normale che Pechino difendesse fino in fondo la sua creatura. Ma ora il mostro scricchiola. Non la sua struttura, fortunatamente, ma tutto ciò che la circonda. Scricchiolano gli argini che si sgretolano aumentando il rischio inondazioni. Scricchiolano le economie locali perché l'alterazione del ciclo naturale di accumulo e smaltimento dei sedimenti inizia a condizionare la pesca e l'agricoltura. Scricchiola il delta dello Yangtze tutt'intorno a Shanghai perché lo sbarramento artificiale, riducendo il flusso delle acque, ne sta riducendo la portata e la superficie.
Che fare? Oggi, mentre le 90mila dighe del Paese (di cui un terzo sono a rischio) funzionano a singhiozzo per la scarsità di acqua, nessuno è in grado di dirlo. L'unica certezza di Pechino è che anche l'opzione idroelettrica inizia a mostrare la corda. Così, dopo che lo tsunami giapponese ha congelato gli ambiziosi programmi di sviluppo nucleare, alla Cina non resta che continuare a bruciare carbone per soddisfare la sua sfrenata domanda di energia.
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IL COSTO
25 miliardi
L'investimento
IL DISAGIO
1,5 milioni
«Deportati»