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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 06:36.

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Nuove regole e nuovi strumenti operativi in arrivo per rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi nelle aree sottosviluppate, a cominciare dal Sud. Col via libera di ieri del Consiglio dei ministri va definitivamente in porto il sesto tassello del puzzle del federalismo fiscale. La scommessa – tutta da vincere e da riempire di cifre e contenuti – è di riuscire ad aggiornare e a riformare il quadro di regole per lo sviluppo e la coesione nei territori più arretrati. Con gli obiettivi puntati verso la nuova politica di coesione comunitaria e con la speranza di mettere in soffitta i ritardi di programmazione e di spesa con un'operazione più incisiva di monitoraggio e controllo e con puntuali poteri sostitutivi nei casi (non rari) di inadempienza.
«Un nuovo quadro di regole era non più rinviabile a causa degli insoddisfacenti risultati sin qui raggiunti dalla politiche di coesione, che non sono riuscite a scalfire i pesanti divari territoriali del Paese», ha commentato con soddisfazione il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, grande regista dell'operazione anche dopo un faticoso dibattito nella bicameralina. Dove, non a caso, non sono mancati i malumori dei leghisti nei confronti di temuti "regali" al Mezzogiorno. Ma Fitto ancora ieri ha tirato diritto: il provvedimento è in pieno nel solco della Costituzione «di tenere unite le sorti dei diversi territori», ha rivendicato. Anche perchè proprio nelle aree meno sviluppate («Sud in testa»), ha detto il ministro, «si annida il più importante potenziale di crescita del nostro Paese». In attesa, va detto, che il decollo del tanto sbandierato «piano per il Sud» veda realmente la luce.
Concentrazione «tematica» delle risorse, focus su specifici e ristretti interventi strategici, esplicita previsione delle responsabilità: queste le linee programmatiche del decreto. Che affida a due ministeri (Affari regionali ed Economia) e al Cipe il compito di individuare gli interventi da finanziare con il fondo di coesione. A metterli in pratica dovrà essere un «contratto istituzionale di sviluppo» con gli enti locali o con i concessionari di servizi pubblici. Con tanto di sanzioni nei casi di inadempienza e «inerzia» che potranno arrivare fino all'esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo e all'attribuzione dei compiti a un altro soggetto.
Significative le novità arrivate in Parlamento con gli emendamenti anche del terzo polo, decisivo per incassare il disco verde della bicamerale (si sono opposti solo Pd e Idv). Con l'emendamento di Linda Lanzillotta (Api), anzitutto, si collega la programmazione delle risorse per gli interventi speciali al Def (il nuovo Dpef). Mentre lo stesso Def dovrà indicare all'avvio della programmazione dei fondi europei la quantità di risorse da destinare agli interventi, tenendo conto del Pil e in ogni caso in stretta coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Sulla carta un incremento possibile delle risorse al Sud. Anche se non ci sono quote programmate come chiesto dalle opposizioni: lo 0,6% per Pd e terzo polo, l'1% per l'Idv.
Intanto sempre ieri il Consiglio dei ministri, dopo la relazione dei ministri Bossi e Calderoli, ha inviato alla bicameralina l'altro decreto sul federalismo fiscale su premi e sanzioni per governatori e sindaci con i conti in default. Sul decreto, mercoledì, c'è stata la mancata intesa con Regioni ed enti locali e a questo punto la partita si svolgerà tutta nella bicameralina, dove Calderoli ha anticipato la proposta di allargare le sanzioni anche ai ministri che non rispetteranno i costi standard. Una proposta sulla quale, però, ufficialmente ieri non s'è discusso in Consiglio dei ministri.
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