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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2011 alle ore 08:12.

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Eppure i segnali dell'abbandono di Maersk arrivavano da tempo, con un rallentamento della movimentazione, che faceva il paio con l'allarme dell'altro grande armatore che opera sullo scalo: Gianluigi Aponte. Il timoniere di Msc, a gennaio di quest'anno aveva dirottato le navi da Gioia al Pireo, aprendo la via a 30 ore di fermo del porto (per mancanza di arrivi) e denunciando sulle banchine calabresi «assenteismo e bassa produttività».
Un porto, aveva detto allora Aponte, «deve essere in condizione di lavorare 365 giorni l'anno e invece questo, a Gioia Tauro, non avviene (si veda il Sole 24 Ore del 18 gennaio, ndr)». Ma se, da un lato, pesano le osservazioni sulla produttività degli addetti, dall'altro Gioia Tauro viene schiacciato dal basso costo del lavoro nei concorrenti porti di transhipment nordafricani.
Maersk, nonostante la port Authority di Gioia abbia azzerato le tasse di ancoraggio, trova più conveniente fare scalo a Port Said, per i trasbordi. E comunque, mettendo in attività, nei giorni scorsi, un nuovo servizio con navi madre dall'Estremo Oriente su Genova ha deciso di saltare Gioia Tauro: «La nostra intenzione – ha annunciato Todd Pigeon, ad di Maersk Italia – è rimanere competitivi sul mercato e perciò dobbiamo rivolgerci a scali, a loro volta, sempre più competitivi. Abbiamo deciso, quindi, di non scalare Gioia Tauro col nostro nuovo servizio. In questo modo ci è possibile arrivare più velocemente a Genova, riducendo i tempi di percorrenza». Un annuncio che si è trasformato nell'epifania dell'abbandono completo dello scalo da parte della compagnia. «Bisogna far sì - ha detto il presidente del porto, Grimaldi - che i porti di transhipment non vengano più aggrediti da quelli del Nord Africa». E giustamente preoccupati appaiono i sindacati (Filt-Cgil, Fit-Cisl, Sul e Ugl), che chiedono impegni precisi da parte di istituzioni locali e governo.
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