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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 21:00.

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Medio Oriente, Obama insite sui confini del '67, ma rassicura IsraeleMedio Oriente, Obama insite sui confini del '67, ma rassicura Israele

Barack Obama è intervenuto di nuovo sulla questione mediorientale poco prima di partire per Dublino, ha ripetuto la sua provocatoria dichiarazione che auspica un ritorno ai confini del 1967 come punto di riferimento per un negoziato di pace e ha deciso di giocare al rialzo, spiegando perché la sua posizione non rappresenta una novità ma contribuirà semmai a smuovere le acque per migliorare le prospettive di pace: «Non possiamo essere dominati dall'immobilismo... dico questo nell'interesse stesso di Israele – ha detto Barack Obama parlando davanti all'American Israel Publica Affairs Committee, la più potente lobby pro Israele in America riunita a Washington – e sottolineo: quando ho parlato di confini del 1967 ho aggiunto con scambi territoriali adeguati su cui si troverà un accordo».

«Nulla di nuovo rispetto a quanto le parti hanno negoziato privatamente negli ultimi anni... e visto che la mia posizione è stata riportata in modo scorretto, la preciso. Negoziare scambi di territori vuole dire negoziare un confine che sarà diverso da quello che esisteva il 4 giugno del 1967... terrà conto dei cambiamenti demografici e di altri cambiamenti, come già hanno fatto le parti direttamente». Una precisazione importante ovviamente, visto che Netanyahu aveva ignorato la seconda parte della dichiarazione del Presidente. E la platea ha applaudito. Ma è stato più un applauso di circostanza che un applauso caloroso come si era sentito poco prima quando si era parlato di Osama bin Laden o dell'Iran.

La questione dei territori è vecchia come la guerra dei Sei giorni. Nella risoluzione approvata in inglese subito dopo la guerra del 1967 si indicava generalmente un ritiro «from territories», un generico principio chiave approvato da tutti perché consentiva interpretazioni diverse a seconda dei casi. I palestinesi intendevano da tutti i territori, gli israeliani e gli americani da territori e dunque non da tutti. Nella parte finale del negoziato di Taba, nel gennaio del 2001, condotto sotto la mediazione di Bill Clinton quello che portò più vicino alla pace, Israele accettò per la prima volta un ritiro sulla base di nuove linee di confine che prevedevano scambi di territori ma l'accordo accettava che non si restituisse il 100% dei territori, ma il 97% circa a seconda delle interpretazioni. Il problema per Obama è che nel suo discorso che non faceva riferimento alle intese quasi raggiunte a Taba e che dunque da il destro ai palestinesi di irrigidire la loro posizione per una restituzione del 100% dei territori.

Comunque sia, con il suo coraggioso, determinato discorso davanti alla platea dell'Aipac (dove i suoi uomini temevano fischi che non ci sono stati) Obama ha così continuato il suo braccio di ferro a distanza con Benjamin Netanyahu per prevalere sulla strategia di comunicazione. Netanyahu infatti parlerà lunedì davanti al Parlamento americano riunito in seduta plenaria e non c'è dubbio che risponderà alle ultime precisazioni del Presidente. Obama ha anche ammesso che la sua affermazione è stata controversa sul piano interno: «Non ho bisogno del consiglio di Rahm (Emanuel suo ex capo di gabinetto, ndr) o di David (Axelrod il gestore della sua campagna elettorale, ndr) per sapere che per un Presidente che si prepara alle elezioni è meglio evitare controversie... ma l'immobilismo è peggio».

Obama, che arriva domani mattina qui a Dublino, ha anche detto che Medio Oriente, le rivoluzioni arabe, la pace fra Israele e Palestina saranno al centro della discussione durante il suo viaggio in Europa e poi al G8 di Deauville. Ha anche rassicurato il pubblico dell'Aipac dicendo che gli accordi fra Hamas e Fatah dovranno essere verificati e che non si potra' negoziare con una controparte che mantiene come obiettivo dichiarato la distruzione dello stato di Israele. Ma e' proprio questo il punto, dicono i critici, per fare questa concessione politica, Obama poteva aspettare di aver superato ad esempio il problema Hamas. Ma in passato il Presidente – ad esempio con la Cina – ha peccato della stessa debolezza, ha teso la mano prima di aver avuto garanzie blindate, cosa che generalmente e' sconsigliabile, ma in particolare nel difficilissimo volubile calderone mediorentale, dovrebbe essere una regola ferrea. L'attesa ora e' per la risposta di Nethaniahu. E, conoscendolo, il Primo Ministro israeliano non avra' peli sulla lingua. Anche perche' e' stato invitato a parlare in Parlamento dai repubblicani, che su questo punto la vedono in modo identico al suo e che faranno di tutto per sfruttare la controversia in chiave elettorale.

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