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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2011 alle ore 09:28.

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Libia, jet italiani in prima lineaLibia, jet italiani in prima linea

Muammar Gheddafi propone un cessate il fuoco sotto il controllo dell'Onu, promette una nuova costituzione e «un futuro radicalmente diverso» ma non intende lasciare la Libia. Una proposta sostenuta dall'Unione africana, che chiede la cessazione dei raid della Nato, ma respinta da Barack Obama che la definisce «non credibile» e dai ribelli di Bengasi che pretendono che il raìs lasci il potere.

«Gheddafi se ne deve andare», ha affermato il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, sostenuto da Nicolas Sarkozy, ma a Washington funzionari americani hanno discusso la proposta libica con il responsabile delle operazioni di peacekeeping dell'Onu, Alain Le Roy. E proprio ieri sera cinque esplosioni sono state avvertite a Tripoli nei pressi del bunker di Gheddafi.

L'intensificazione della pressione militare sul regime annunciata a Londra da Barack Obama e David Cameron, in atto da giorni, coinvolge anche i jet italiani che in un mese di raid hanno colpito le forze di Gheddafi con oltre 200 bombe e missili lanciati dai Tornado dell'Aeronautica e dagli Harrier della Marina imbarcati sulla portaerei Garibaldi. A differenza degli alleati, l'Italia ha mantenuto il più stretto riserbo sulle attività belliche nell'operazione "Unified Protector" ma fonti vicine ad ambienti Nato hanno confermato al Sole 24 Ore il ruolo di rilievo ricoperto dai nostri velivoli che dal 18 marzo hanno effettuato circa un migliaio delle oltre 8.300 sortite effettuate dai jet alleati, 3.175 delle quali in missioni di attacco.

Tornado e Harrier colpiscono il nemico solo all'esterno dei centri urbani per ridurre il rischio di vittime civili. Le bombe italiane a guida laser e satellitare da 227 e 454 chili hanno distrutto soprattutto obiettivi fissi quali depositi di armi e munizioni, postazioni d'artiglieria e antiaeree, centri di comando e controllo, radar e basi situati nelle regioni di Brega, Sirte, Misurata, nei dintorni di Tripoli ma anche nelle zone desertiche meridionali del Fezzan dove Gheddafi, soprattutto nella sua roccaforte di Sebha, ha trasferito parte delle forze e dei centri di comando. Obiettivi colpiti dagli italiani anche con i missili da crociera Storm Shadow in dotazione ai Tornado del Sesto Stormo di Ghedi (Brescia), impegnati in lunghe missioni prima di lanciare gli ordigni che hanno un raggio d'azione di alcune centinaia di chilometri.

Sul fronte marittimo, secondo indiscrezioni, la nave d'assalto anfibio San Giorgio si è unita alla flotta da sbarco anglo-francese incentrata sulle portaelicotteri Ocean e Tonnerre dotate di elicotteri da attacco Apache, Tigre e Gazelle il cui utilizzo, secondo il premier francese Francois Fillon, «potrebbe allentare la pressione delle truppe libiche su Misurata». L'impiego di elicotteri da attacco e il concentramento di mezzi e truppe da sbarco appare come un ulteriore passo verso un intervento terrestre alleato giustificato dall'intento umanitario e già da tempo pianificato dalla Ue con l'operazione "Eufor-Libia".

Dopo nove settimane di guerra resta fondamentale il supporto statunitense non solo in termini operativi (un quarto delle sortite sono state effettuate da aerei americani) ma anche di bombe "prestate" agli europei. «Abbiamo fornito materiale e munizioni agli alleati impegnati nelle operazioni in Libia», ha confermato ieri il portavoce del Pentagono.

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