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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 08:11.

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La scalata AntonVeneta è stata l'ultima operazione ostile, o comunque contrastata, su una banca italiana. E nessuna banca estera, da allora, ha più tentato di sfondare in Italia. Anzi, dal 2005 in poi, forse proprio per l'esito traumatico di quell'operazione, scattarono una serie di aggregazioni "amichevoli" tra grandi e medi gruppi italiani. Sollecitate (ma non indicate) dalla Banca d'Italia del Governatore Mario Draghi, consapevole che la difesa del sistema poteva passare solo da una rapida ricerca di livelli dimensionali elevati. Che però andavano raggiunte con operazioni di mercato, e non con aggregazioni "pilotate" da Via Nazionale. A partire da quelle che hanno portato alla creazione dei due "campioni nazionali": UniCredit-Capitalia e Intesa Sanpaolo.
Sul finire dell'estate del 2005, quando ancora era in carica Antonio Fazio, per qualche settimana si aprì una finestra di opportunità perchè Banca Intesa e UniCredit muovessero come "cavalieri bianchi", rispettivamente, su AntonVeneta e Bnl. Anticipando le mosse finali degli olandesi di Abn Amro su AntonVeneta e dei francesi di Bnp Paribas su Bnl, le due big domestiche sarebbero subentrate a Popolare Lodi e Unipol. La doppia operazione fu valutata a Milano. Ma data la piega e il clamore internazionale che aveva preso la difesa dell'italianità, non se ne fece nulla. Preferendo rimanere fuori dalla partita. Fu da quella rinuncia, e dal successivo inevitabile sfondamento degli olandesi e dei francesi, che però si gettarono le basi della nascita dei due grandi colossi italiani nell'attuale configurazione.
Intesa Sanpaolo aveva nel suo azionariato i francesi del Credit Agricole con il 15%. Il Sanpaolo-Imi aveva gli spagnoli del Santander con il 10%. E Capitalia aveva proprio Abn Amro con il 15%. L'Agricole era stato fino ad allora, tutto sommato, uno sleeping partner di Intesa. Ma vedendo che l'Italia aveva aperto le porte ai cugini e rivali di Bnp Paribas, cominciò ad accentuare le pressioni per poter procedere a un abbraccio più ingombrante con Intesa. Stesso discorso per gli spagnoli del Santander con il Sanpaolo di Torino. A Roma, intanto, Capitalia cercava di sfuggire al pressing di Abn Amro che, una volta acquisita AntonVeneta, puntava a creare un polo di rilievo in Italia. Fu in quel contesto, siamo ormai a inizio 2006, che maturò prima il (fallito) tentativo di aggregazione Intesa-Capitalia. E poi quello riuscito – a fine agosto 2006, con Romano Prodi subentrato a Silvio Berlusconi alla guida del Governo – tra Banca Intesa e Sanpaolo-Imi. La creazione del maxi-polo italiano ebbe due effetti. La prima fu quella di diluire e scoraggiare definitivamente eventuali iniziative ostili di Credit Agricole e Santander. Che mollarono la presa subito. Il Santander vendendo il pacchetto azionario, l'Agricole ottenendo in cambio da Intesa Sanpaolo una banca media in Italia (Cariparma-Friuladria). La seconda conseguenza delle nozze tra Intesa e Sanpaolo fu quella di creare un gap dimensionale in Italia con UniCredit, che due anni prima era molto cresciuto all'estero aggregando la tedesca Hvb. Fu in quello scenario che maturò l'aggregazione tra UniCredit e Capitalia. La banca romana, rimasta isolata dal risiko bancario e alle prese con gli olandesi di Abn, aveva tentato invano di creare un polo del Centro Sud con il Monte Paschi. Ma da Siena, era sempre arrivata risposta negativa, perchè la Fondazione avrebbe perso il controllo. E così si procedette all'aggregazione tra Capitalia e UniCredit che, di fatto, chiuse la grande stagione del risiko bancario domestico. Con la coda finale, ma siamo ormai a fine 2008 quando la crisi finanziaria era ormai arrivata anche in Italia, con l'acquisizione di AntonVeneta da parte di Mps (rilevata dal Santander, che l'aveva ottenuta dopo lo "smembramento" di Abn Amro).
Poi i tre anni di crisi hanno, di fatto, bloccato ogni acquisizione o fusione in Italia e in Europa (a parte qualche salvataggio). Torneranno i tempi del risiko? Le attuali valutazioni di Borsa (UniCredit 30 miliardi, Intesa Sanpaolo 22 miliardi), in teoria, incoraggiano eventuali take over. Ma per ora tutti, in Europa e negli Usa, sono intenti a leccarsi le ferite dolorose della crisi. E i nuovi capitali servono per rimborsare gli aiuti statali o adeguarsi a Basilea 3. L'era delle scalate e delle aggregazioni bancarie non pare destinata a tornare presto.
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