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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 18:11.

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Le truppe di Khartoum occupano da una settimana Abyei. Questa strategica regione, situata a cavallo tra il nord e il sud Sudan, che il 9 gennaio scorso ha votato per l'indipendenza con un referendum (partirà il prosimo 9 luglio), è stata un nodo nevralgico della guerra civile sudanese, durata un quarto di secolo. L'occupazione del polo petrolifero da parte dei soldati inviati da Omar al-Bashir segna una «grave violazione» degli accordi di pace del 2005, che hanno posto fine al conflitto. Il rischio che Khartoum si assume è commisurato alla posta in gioco. Abyei resta una terra contesa. E custodisce i maggiori giacimenti petroliferi del Sudan.

Londra e Washington hanno condannato duramente la mossa del presidente sudanese. Anche il Consiglio di sicurezza dell'Onu è intervenuto chiedendo il ritiro dell'armata del nord. Salva Kiir, presidente del Sud, che dal 9 luglio prossimo diventerà ufficialmente uno Stato, chiede il ritiro immediato dei soldato di al-Bashir, ma si sottrae, per ora, alla sfida del ritorno alla guerra.

La situazione nel distretto petrolifero, evoca però scenari cupi. «Abyei è territorio sudanese del Nord. Noi non ci ritireremo», dice il presidente sudanese. Le milizie del nord hanno aperto il fuoco anche contro elicotteri della missione di peacekeeping dell'Onu. L'esodo di massa della popolazione non si arresta da sabato scorso. E se le cifre fornite dalla coordinatrice per le operazioni umanitarie Onu in Sud Sudan Nazioni Unite, Lise Grande, parlano di 50mila persone in fuga, James Kok Ruea ministro per gli affari umanitari di Juba, prossima capitale del neonato Stato meridionale, dice invece che i profughi sono almeno 150mila.

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