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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 20:56.
Berlusconi lo stima da sempre e lo ha ribadito anche oggi affidandogli il nuovo incarico. «È giovane ed è ben voluto da tutti, saprà rilanciare il Pdl». Angelino Alfano lo farà da nuovo segretario politico di un partito allo sbando. I colleghi si sperticano ora in elogi e commenti positivi. Gli stessi però che, appena un mese e mezzo orsono, si erano rivoltati dopo che Berlusconi lo aveva indicato come suo possibile delfino. Lui, sorriso perenne sulle labbra, un po' di tempo fa si lasciò andare a questo sfogo. «Non sono un robot». Una frase consegnata alle cronache dopo quella tessera elettronica lanciata in aria alla Camera durante un voto chiuso anzitempo da Gianfranco Fini e con la maggioranza ko. Poche parole che avevano però squarciato il velo attorno ad Alfano e alla sua aurea di imperturbabilità.
Un campione di aplomb e precisione
Perché il ministro della Giustizia, il più giovane guardasigilli della storia repubblicana, classe 1970 e scuola Dc alle spalle, ha costruito nel tempo la sua immagine di campione di aplomb, preciso e puntiglioso, uno che non ha mai perso le staffe in pubblico. Almeno fino a quella tessera. «Sono stati in tanti a dirmi: che bello Angelino, finalmente ti sei arrabbiato anche tu - ha raccontato in una intervista l'indomani -. Ma io devo essere sincero: mi arrabbio per essermi arrabbiato». Nessuno nell'inner circle berlusconiano ricorda infatti un suo sfogo o una sua arrabbiatura. Anche se in pubblico Angelino ha mostrato grande grinta nel difendere ora la riforma epocale della giustizia ora la prescrizione breve, appena approvata dalla Camera. Dove, sollecitato dalle opposizioni, ha poi tirato fuori quell'aria da primo della classe, che si porta dietro da sempre, per smontare le accuse di chi parla di ennesima legge ad personam.
Dalla Dc alla scrivania a Palazzo Grazioli
Così si è difeso colpo su colpo, confermando la fiducia sconfinata che il Cavaliere ripone in lui. Quando, nel 1999, a Berlusconi fecero per la prima volta il nome dell'ultimo enfant prodige della politica siciliana, il premier rimase spiazzato. «E chi è?», fu la risposta. Due anni dopo il giovane siciliano, che già a 14 anni assisteva alle sedute del Consiglio comunale di Agrigento, dove il padre è stato vicesindaco per lo scudo crociato, aveva una scrivania nell'ufficio accanto a quello del premier, a Palazzo Grazioli. La stessa in cui aveva lavorato Gianni Letta. Nel 2001, infatti, Alfano varcò le porte di Montecitorio, ma divenne contemporaneamente capo della segreteria politica di Berlusconi: un fedelissimo. Più di Gianfranco Miccichè che l'anno prima si era presentato ad Arcore in compagnia di quel giovanotto dall'aria seria e dal linguaggio forbito tanto che il premier non trattenne la sorpresa. «Ma davvero lei è siciliano? La sento parlare in italiano».
Il rapporto strettissimo con la sua terra
Ma Alfano siciliano lo è nel Dna e nella storia. E, ogniqualvolta parla della sua terra, prima o poi tira fuori queste parole. «Andavo alle elementari, dalle suore Ancelle riparatrici, quando la mafia ha ucciso Mattarella. Ero alle medie quando hanno sparato a Dalla Chiesa e al ginnasio quando hanno ammazzato Chinnici. La mia generazione ha un vaccino culturale antimafia». Di lui gli annali ricordano la partecipazione, prima da liceale e poi da studente universitario, alle manifestazioni contro le stragi di mafia e le veglie per ricordare i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Al quale è legato un altro suo primato: nel 2010 è stato il primo ministro della giustizia della storia a intervenire all'assemblea dell'Onu per parlare del giudice eroe. Nel suo pantheon c'è però anche anche Rosario Livatino, un altro magistrato assassinato dalla mafia proprio nella sua Agrigento e al quale il guardasigilli ha voluto fosse intitolata una stanza del suo ministero.
Vicino a Liberamente ma non è uomo di correnti
Dentro il Pdl Alfano non è uomo di correnti, anche se è nota la sua vicinanza a "Liberamente" del trio Frattini-Gelmini-Carfagna che preme da sempre per una sua promozione nel partito, ma lui si è sempre schermito davanti a simili previsioni. Lontano dal ministero e dal Pdl, il guardasigilli è uomo riservato e dedito ai due figli e alla moglie avvocato, conosciuta al liceo classico di Agrigento (dove, raccontano gli ex compagni, fu il rappresentante d'istituto più votato della storia) quando aveva solo 16 anni e lei 15. «Da allora non ci siamo più lasciati - ha raccontato in una delle sue ultime interviste -. Lei non voleva che scegliessi la politica, avrebbe preferito la carriera universitaria, ma non avrei mai potuto fare quello che ho fatto se non l'avessi avuta accanto». Un colpo di fulmine, insomma, proprio come con il Cavaliere.
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