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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2011 alle ore 06:38.

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Joseph Blatter è uno straordinario sopravvissuto e questa settimana ha messo a segno il suo colpo da maestro. È stato rieletto alla guida della Fifa, che sovrintende al calcio mondiale, dopo una settimana di accuse e scuse, scandali e minacce.
Ieri, a Zurigo, nell'Hallenstadion, il 92% dei 203 delegati di tutto il mondo ha deciso che Blatter, 75 anni, l'unico in corsa, sia l'uomo che porterà la Fifa oltre il Mondiale del 2014. Tutti dalla sua parte, tranne Asia e Australia. Con questo quarto mandato l'ex colonnello dell'esercito svizzero sarà stato alla guida della Fifa dal 1998 al 2015: una presidenza lunghissima, anche se non quanto quella di Jules Rimet, dal 1921 al 1954. Altri tempi, soprattutto altri interessi in campo.
Il capitano nella tempesta
L'imperatore Sepp, «il capitano nella tempesta» come si è definito, ha messo alle spalle i giorni più difficili della presidenza. Venerdì scorso le accuse del rivale qatarino bin Hammam, poi la deposizione davanti al comitato etico della Fifa (che l'ha naturalmente assolto, lui è il capo), la sospensione dello sfidante, lunedì le mail del vicepresidente Jack Warner che lo accusavano di aver offerto un milione di dollari al Nord America in cambio del voto, infine il congresso. Ha ammesso, con viso tirato, che «la piramide della Fifa vacilla sulle sue fondamenta», anche perché uno dei punti del suo programma è tolleranza zero verso la corruzione. Quella che avrebbe coinvolto gli elettori che scelsero di assegnare il Mondiale del 2018 alla Russia e quello del 2022 al Qatar (non il posto ideale in cui giocare a pallone d'estate ma, si sa, i dollari del petrolio potranno refrigerare immensi stadi tutti da costruire).
Il Mondiale del futuro
Che in quelle scelte non abbia brillato la trasparenza Blatter lo sa ma non lo ammetterà mai. Ieri, però, in modo indiretto, l'ha fatto, proponendo un nuovo modo per scegliere le sedi dei Mondiali: «In futuro potrebbe essere il Congresso, e non solo il Comitato esecutivo, a scegliere l'organizzatore. Il Comitato esecutivo si limiterebbe a fornire una lista ristretta, senza fare raccomandazioni e il Congresso deciderebbe». E ha lanciato l'idea di una "commissione di soluzioni", che indaghi in profondità, magari «grazie all'ausilio di personalità esterne quali l'ex-segretario di Stato Usa, Henry Kissinger, e Johann Cruijff». Con la speranza – per il bene del calcio – che non sia solo la sua tattica di sempre: parlare d'altro per distogliere l'attenzione dai nodi del calcio. In passato, l'ha fatto mille volte con proposte al limite della boutade, prima con il golden gol, poi con le porte più larghe, fino alla recente idea delle quote rosa nel calcio. E l'ha fatto però anche con visioni lungimiranti, come quella di allargare il Mondiale a 32 squadre e di rendere il calcio ecumenico. Ma ora federazioni e sponsor chiedono chiarezza. Non accettano più il valzer del colonnello, sanno che un gioco così sporco finirà per macchiare i grandi marchi e il calcio in sé.
La Federazione inglese, che si sente derubata del Mondiale del 2018, e quella scozzese avevano chiesto il rinvio dell'elezione; quella portoghese ha proposto un limite al numero di mandati del presidente. Karl-Heinz Rummenigge, presidente dell'Associazione europea dei club, è stato chiaro: «Chiediamo alla Fifa d'introdurre immediatamente strutture democratiche e trasparenti». Soprattutto gli sponsor sono sul piede di guerra: Coca-Cola, Adidas, Visa, Emirates hanno dichiarato il loro disappunto per questa settimana infernale. La Fifa non deve sottovalutare le loro voci: dal miliardo di dollari che gli sponsor versano nelle casse della Fifa dipende buona parte della vita della Federazione, insieme con i diritti tv (2,4 miliardi di dollari). Non tenerne conto metterebbe a rischio la sopravvivenza dell'organismo, ma Blatter predica calma e gesso: «Serve un congresso straordinario: alla Fifa, i problemi si risolvono in famiglia». Come dargli torto, ha resistito a tutto e ha fatto volare i ricavi a 1,291 miliardi (rispetto al miliardo del 2009, +21%), anche se le spese crescono del 26%, a 1,089 miliardi di dollari (863 milioni l'anno precedente).
Il copione non cambia
Blatter lo ripete spesso: «Io giocavo centravanti e sono rimasto un attaccante». È sopravvissuto a mille crociate. La più terribile fu quella a ridosso della rielezione del 2002. Il segretario generale Michel Zen Ruffinen, con dieci membri dell'esecutivo, depositò presso la magistratura svizzera un dossier di 23 pagine che iniziava così: «La Fifa è una dittatura». L'affermazione, rispetto alle accuse del documento, è nulla: il "sistema Blatter" fa lavorare nipoti e amici, compra i voti, copre la corruzione, usa in modo improprio i fondi, svende i diritti tv del 2002 e del 2006 per coprire le voragini dei conti. Blatter resiste e il camerunense Issa Hayatou si scioglie: 139 voti a 56, e fine della partita. Situazioni incresciose, come le definiscono i grandi sponsor. Ma Blatter rassicura tutti: «Non voglio più trovarmi in circostanze così poco dignitose: serve tempo ma sono pronto e riporterò questa nave in acque tranquille».
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