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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2011 alle ore 22:38.

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Meno male che Silvio (non) c'èMeno male che Silvio (non) c'è

Non era previsto che fosse il 24 luglio di Berlusconi. Sia perché Giuliano Ferrara è un po' più caciarone di Dino Grandi sia perché il Cavaliere, comunque stia andando, gode ancora di notevole consenso e non solo tra i fedelissimi. Sta di fatto che "la Festa per il caro amico Silvio", consumatasi ieri al Teatro Capranica di Roma, ha aperto scenari - circa il destino del berlusconismo - fino a ventiquattr'ore fa impensabili.

Sono giorni che Giuliano Ferrara va dicendo che per il Pdl è giunto il momento di fare le primarie e questo doveva essere il tema dell'incontro. Molto presto, però, il tutto si è trasformato in una seduta d'autocoscienza vista raramente da queste parti (cioè dove si produce il giornalismo politico militante). Che la "narrazione" sia la novità semantica dell'attuale dibattito politico bipartisan è ormai evidente. E qui si promettono scintille, a cominciare dal parterre che è di assoluto rilievo: Ferrara padrone di casa e poi Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti, Mario Sechi, con le testimonianze da sinistra di Ritanna Armeni, Pio Sansonetti e altri. Per non parlare del trittico rosa-shock composto da: Alessandra Mussolini (spassosa) – Giorgia Meloni (muscolare) – Daniela Santanchè (basìta) che, alludendo (forse) alle "capranichette" della vignetta di Vincino (che invitava a seguire l'evento), son capaci di deliziare la folta platea di convenuti con le loro vigorose e per nulla banali (rispetto a come si è abituati a sentirle in TV) performance.

Che la destra sdentata abbia un think tank a 32 denti dovrebbe far ben sperare coloro che la sostengono. E anche chi si augura che il Governo faccia qualcosa per smuovere l'Italia dalla depressione nella quale si trova. Prima o poi ci sarà un dopo-Berlusconi e qui ci si vuol preparare per tempo. Il punto è che Berlusconi si avvia ad aver occupato un ventennio circa di storia nazionale e ormai è dentro il nostro DNA politico. Come Mussolini, evocato – non a caso – da uno spumeggiante Ferrara, geniale anfitrione del matinee: «Cercare di governare questo paese non è difficile. Ma, probabilmente, è inutile». Rimandi al Duce pure nell'intervento della guappa nipote Alessandra, che infiamma i presenti cercando di spiegare, dal punto di vista dell'antropologia femminile partenopea, la vittoria di De Magistris (che Feltri definisce come «il nuovo San Gennaro dei napoletani»): il «bello uaglione» non poteva che battere l'impresentabile Lettieri, un uomo stile «agente Tecnocasa» che poteva rifilarti al massimo una «nuda proprietà» con vista sulla monnezza e niente altro. L'autoironia, per fortuna, governa il tutto. D'altro canto lo spirito gruppoanalitico è ben palpabile e non viene mai meno. Così ci si ritrova a interrogarsi su questioni cruciali con lo slancio della disperazione tipico di chi assiste al tramonto di un'epoca che molto ha amato. Da «Dov'è finito lo spirito del '94?» a «Perché Formigoni non scende in campo?», fino a «Chi ha incastrato Silvio B.?» è tutto un susseguirsi di spunti e stuzzicamenti più o meno eclatanti, triti o non triti, di sicuro avvincenti.

Che nella recente sconfitta patita alle amministrative l'universo berlusconico si sia perso i voti delle donne, ormai è un dato assodato. Ce lo ricorda pure la Santanchè la quale tuttavia è inflessibile riguardo alle primarie: Silvio non si tocca. Punto.

Il fatto è che Berlusconi non sceglie più i candidati personalmente e quindi il partito perde. Del resto il Cavaliere è forse il più grande esperto di risorse umane che c'è in questo paese. Poi, a un certo punto ha smesso. «Ovvio, ormai pensa solo ai fatti suoi. E te credo!» tuona Feltri, scimmiottando il romanesco. Poi estrinseca il suo pensiero in merito alla persecuzione giudiziaria che funesta le giornate dell'uomo di Arcore.

Ah, se si potesse «reintrodurre l'immunità parlamentare». E' ancora il Feltripensiero. Secondo lui tutti i mali ebbero inizio con l'abrogazione del sacrosanto istituto che permette ai politici di lavorare tranquilli quando hanno un mandato popolare da compiere e non possono subire le interferenze di una giustizia intrisa comunque di veleni politici.

Vengono così riferiti molti casi di candidati prima sconosciuti e che poi, scelti personalmente da Berlusconi, finivano per vincere le elezioni. Emblematica la storia di Ugo Cappellacci, Presidente della Sardegna, carneade del potere designato da Silvio e di conseguenza trionfatore assoluto nelle ultime regionali sarde. Sallusti confessa di averlo cercato su Wikipedia per sapere chi fosse.

E mentre nel vicino Senato la maggioranza soccombeva, qui è parso che si scrivesse la storia del centrodestra post-berlusconiano. Il primo libero pensatoio del Popolo della Libertà (che un sardonico Ferrara definisce "Libera adunata dei servi del Cav.") finisce pure per lasciare di stucco il popolo della rete. Su Twitter s'inseguono commenti increduli circa la qualità (e l'utilità) degli interventi. A un certo punto sparisce l'audio del sito che trasmette la diretta dell'evento in streaming: troppi contatti. Forza della rete. Evocata con lucido vigore da Mario Sechi, il quale – subito ripreso a manetta da tutti i social network – arriva ad attribuire al potere raggiunto dalle «piazze elettroniche» dell'era internet, lo sconvolgente risultato elettorale che è il punto focale dell'odierno dibattito. «Le primarie del PDL in realtà ci sono già – rivela Sechi, tra lo stupore generale – e sono online!» (Il riferimento è alla campagna lanciata dall'aggregatore di blogger centrodestrorsi www.rightnation.it ). «La Moratti, in realtà, le elezioni le ha perse su Facebook», gli fa eco la giornalista - «femminista di sinistra» come la introduce Ferrara – Marina Terragni, tra gli ospiti della sponda avversa. Ed elenca tutta una serie di manchevolezze grazie alle quali donna Letizia non poteva che diventare come il popolo della rete l'ha definita all'indomani dell'agghiacciante debacle, cioè: «una donna fuori dal Comune». Terragni insiste: «La Moratti abita a 80 metri da Palazzo Marino e andava a lavorare in auto (blu)». Forse per paura che Pisapia gliela rubasse? Chissà… Intanto l'ospite veterocomunista fa incazzare il pubblico quando dice che il Cav. ormai «E' vecchio. E' muffa!». I fischi si fanno fragorosi, ma Ferrara la difende (e con lui tutti gli altri sul palco) e difende la libertà di parola che un qualunque dibattito (e in particolare questo) – affinché sia proficuo - deve incoraggiare.

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