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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2011 alle ore 06:37.

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Un no secco. «Per non chiudere la strada alla realizzazione degli impianti nucleari di prossima generazione, quando potremo verificare le condizioni di massima sicurezza d'accordo con gli altri paesi dell'Unione Europea» ammonisce Adolfo Urso, esponente di spicco di Futuro e Libertà, ex viceministro dello Sviluppo. Un no - incalza – «per sconfiggere la demagogia e il trasformismo di una classe dirigente che cambia ogni giorno opinione sulla base della convenienza e che alimenta colpevolmente le paure invece di farsi carico di un serio progetto di diversificazione delle fonti di approvvigionamento ed assicurare la sovranità energetica al nostro Paese». «L'obiettivo è e deve essere quello di accelerare il passo verso il nucleare di quarta generazione, in grado di riutilizzare le scorie prodotte dai reattori sotto forma di ulteriore combustibile. Un traguardo che gli esperti giudicano fin d'ora possibile, e che contribuirebbe in maniera decisiva alla sicurezza di questi impianti e al rispetto dell'ambiente». In ogni caso «mantenere l'attuale impianto legislativo non implica assolutamente l'obbligo di costruire nuove centrali nucleari, né ora né in futuro. Significherebbe però precluderci, o quanto meno ostacolare, una capacità di ricerca scientifica e di impegno sulla verifica delle future opportunità, da sviluppare in parallelo e in sinergia con le fonti rinnovabili». «Nel frattempo l'Italia rimarrebbe di fatto un paese che fa ricorso all'energia nucleare: quella prodotta dalla Francia. E intanto rimane penalizzato da una struttura dei costi di generazione elettrica fortemente condizionati dalla dipendenza dai combustibili fossili, con costi finali dell'energia superiori, rispetto alla Francia, del 30-35% per le famiglie e fino al 50% per le imprese».
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