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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2011 alle ore 10:11.

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Paracadutisti americani in Vietnam nel 1966 (AP Photo)Paracadutisti americani in Vietnam nel 1966 (AP Photo)

Escono tra poche ore, per la prima volta in versione integrale e senza omissis, i Pentagon Papers, controverso documento sulla guerra del Vietnam che nel 1971 contribuì a far cambiare idea all'America spostando l'opinione pubblica da favorevole a contraria al conflitto.

Lo studio governativo che un analista del Pentagono disilluso dalla guerra fece uscire a pezzi sul New York Times non era mai stato pubblicato in tutte le sue settemila ponderose pagine: potrebbe ancora uscire qualche segreto, dicono gli esperti di intelligence. Magari un nome insospettato sfuggito alla frenetica fotocopiatura dell'analista, Daniel Ellsberg, che quarant'anni fa portò clandestinamente i volumi del Report of the Vietnam Task Force nell'ufficio della fidanzata di un collega per riprodurli lontano da occhi sospettosi. O nuovi particolari d'interesse in Europa, magari sui rapporti con la Francia, potenza coloniale in Indocina fino agli anni Cinquanta e alla quale gli Usa fornivano un appoggio segreto rivelato proprio dai Pentagon Papers.

Una WikiLeaks ante litteram, che il governo americano ha finora trattato come se non fosse mai avvenuta: i Papers sono sempre rimasti ufficialmente segreti, nonostante la stampa ne avesse pubblicato varie versioni e la vicenda fosse finita davanti alla Corte Suprema. Dove i giudici avevano affermato solennemente che la libertà di stampa garantita dal primo emendamento alla Costituzione faceva premio sulla volontà del potere esecutivo, e in primis dell'inquilino della Casa Bianca Richard Nixon, di tenere il segreto.

L'articolo che rivelò l'esistenza dei Papers fu un colpo duro per il governo. «Maledetto New York Times! Una fuga di notizie sconvolgente, mai vista una cosa così», fu la reazione a caldo di Alexander Haig, consigliere di Nixon, resa pubblica solo anni dopo con la pubblicazione dei nastri con le conversazioni del presidente. Nelle carte, fatte preparare dal segretario alla Difesa Robert McNamara con l'intento di fare chiarezza dopo decenni di coinvolgimento americano nella regione, c'era infatti la la storia segreta della partecipazione alla guerra indocinese dal 1945 al 1967. Cose sulle quali dall'alto erano venute sistematicamente bugie ai cittadini: per esempio nel caso della campagna elettorale di Lyndon Johnson nel 1964, nella quale il presidente assicurò che se fosse stato rieletto non avrebbe allargato il conflitto. Ma in realtà diceva il contrario ai suoi consiglieri.

I Papers rivelarono poi che gli Stati Uniti bombardavano Cambogia e Laos senza che la stampa o persino il Congresso lo sapessero, che ben quattro presidenti avevano mentito sull'entità del coinvolgimento americano, e che John Kennedy aveva deciso in segreto di trasformare l'intervento limitato in Vietnam in un impegno a vasto raggio, anche con un progettato golpe contro il regime sudvietnamita. Nel giugno del 1971 (proprio il 13, per coincidenza) il pezzo sparato in prima pagina dal Times fece capire alla nazione che dietro all'ottimismo pubblico dei leader, e alle bugie, c'erano in privato seri dubbi sulle chance di successo nel Sudest asiatico.

Ma perché per avere gli originali ci sono voluti quarant'anni? «Avrebbero dovuto essere rivelati molto, molto tempo fa», ha detto Leslie Gelb, oggi presidente emerito del Council on Foreign Relations, e all'epoca direttore della task force autrice del rapporto. Ma almeno questo non è un segreto: è stata solo colpa della burocrazia. Nel 2009 il neoeletto Barack Obama aveva creato un centro dedicato appositamente alla pubblicazione dei documenti sui quali il segreto non aveva più ragione di esistere. Centro che si era trovato di fronte ben 400 milioni di pagine da rivedere. E così i Pentagon Papers, un tempo il documento più scottante d'America, hanno dovuto aspettare il loro turno.

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