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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2011 alle ore 06:39.

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Così scrive il New York Times, riguardo alla mancanza di sintonia tra americani e pakistani «nel momento in cui dovrebbero essere alleati nella lotta ad al-Qaida»: la illustra bene il fatto che «invece di dare la caccia alla rete che per anni ha consentito a Bin Laden di vivere comodamente, le autorità pakistane stanno arrestando quelli che hanno contribuito al raid in cui è stato ucciso l'uomo più ricercato al mondo». Cinque sospetti informatori della Cia, cinque pakistani di cui non si conosce meglio la sorte, dopo l'arresto. Tra loro, scrive Nyt, è il proprietario di un nascondiglio affittato dai servizi americani per spiare il compound del capo di al-Qaida, ad Abbottabad.
La notizia è trapelata dopo gli incontri di Islamabad, la settimana scorsa, tra Leon Panetta, direttore della Cia, e ufficiali militari e dell'intelligence pakistana. Dal 2 maggio scorso, il giorno in cui Barack Obama annunciò la morte di Osama Bin Laden, la storia delle relazioni tra Pakistan e Stati Uniti è stata un tormentato tentativo di dimostrarne la tenuta: una partnership anti-terrorismo che deve stare in piedi per forza anche se, avvelenate dai sospetti di collusione tra membri dei servizi pakistani e al-Qaida, dalla sfiducia e la mancata condivisione di informazioni, le basi rischiano di sbriciolarsi.
Lo scenario del dramma sono i raid aerei americani - sempre più numerosi - sulle presunte basi dei terroristi, tra le montagne del Waziristan, e la via crucis del Pakistan che quotidianamente è obiettivo di attentati. Eppure i due Paesi non riescono a fare fronte comune: i capi dell'Isi, i servizi di intelligence di Islamabad, sono sempre più insofferenti verso le operazioni della Cia in terra pakistana, e potrebbero pretendere un trasloco delle basi Usa in Afghanistan, oltre confine, così come hanno voluto la riduzione delle truppe e la partenza di diversi agenti americani attivi in Pakistan. Il Paese è dilaniato tra le sue vittime e i protettori di talebani e militanti: ufficiali dei servizi e dell'esercito pakistano hanno appoggiato Bin Laden, ha denunciato ieri a Washington Mike Rogers, leader repubblicano della commissione intelligence al Congresso, reduce da un viaggio in Pakistan.
Le autorità militari di Islamabad smentiscono le dichiarazioni del New York Times, in particolare il fatto che tra le persone fermate ci sia un ufficiale dell'esercito: «Nessun soldato del Pakistan è in arresto - ha detto il portavoce Azmat Abbas alla Bbc - stiamo solo interrogando diverse persone che sospettiamo abbiano lavorato per i servizi segreti americani». Secondo la Bbc, dal giorno del raid contro Bin Laden le autorità pakistane hanno arrestato e rilasciato decine di persone: dimostrando però poco interesse nei confronti di talebani e simpatizzanti di al-Qaida.
Ma gli Stati Uniti sono costretti a salvaguardare l'alleanza, e ripetere - come ha fatto Hillary Clinton in maggio a Islamabad - che non è possibile dimostrare che qualche alto rappresentante del Governo pakistano sapesse di Osama. La Cia e l'Isi, sostiene l'ambasciatore pakistano negli Usa Husain Haqqani, «stanno definendo i termini della loro collaborazione nella lotta al terrorismo, termini reciprocamente condivisibili». In gioco ci sono la stabilità del Pakistan e il futuro dell'Afghanistan: la fine della guerra e il ritiro americano.
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