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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2011 alle ore 13:53.

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«Abbiamo bisogno di più truppe, forze di polizia ed equipaggiamenti per difenderci dai talebani che hanno già tentato con cinque attentati di uccidermi». Nell'incontro all'interno della base italiana, Mabhor Qasin Khan, governatore del distretto del Gulistan, non mostra timidezza nel chiedere più mezzi per allargare la "bolla di sicurezza" difesa da 160 paracadutisti del 186° reggimento Folgore di Siena, affiancati da 50 poliziotti e militari afghani.

Una guarnigione esigua che riesce a presidiare un'area lunga 15 chilometri e larga 5 dove vivono meno di un terzo degli oltre 50mila abitanti di questo distretto.

In Gulistan, che in italiano significa "valle delle rose", i paracadutisti guidati dal tenente colonnello Sergio Cardea non hanno certo il tempo per contemplare fiori. Il loro avamposto, la base operativa avanzata (Fob) "Ice", è protetto da oltre mille metri di hesco-bastion, muri anti autobomba costituiti da reti metalliche rivestite di tela e piene di terra. A differenza degli altri settori dell'Ovest afghano affidato al comando italiano, dove la sicurezza è sensibilmente migliorata negli ultimi tempi e gli insorti si limitano a compiere attentati, in questa landa desolata nell'Est della provincia di Farah (priva di comunicazioni telefoniche e ospedali e dove l'aspettativa di vita è di 45 anni) le truppe italiane devono fare i conti con imboscate e villaggi controllati o influenzati dagli insorti, fin da quando sono arrivate, nel settembre scorso, costituendo la task force South East.

Prima gli alpini e poi in febbraio i paracadutisti hanno rilevato tre basi cedute dalle truppe georgiane e dai marines statunitensi, che nei distretti di Bakwa e Gulistan sono riusciti a combinare ben poco. La visuale che si ha dall'elicottero statunitense che da Farah City raggiunge l'avamposto italiano è sufficiente a comprendere come il termine "basi" sia fuorviante per definire i tre fortini disseminati lungo 80 chilometri della Strada 522, una pista sterrata talmente piena di ordigni esplosivi ed esposta a imboscate che gli italiani impiegano solo aviolanci ed elicotteri per portare rifornimenti e spostare i reparti. Inclusi i plotoni che si alternano nel presidio del Combat out post "Snow", una sorta di "Forte Apache" situato a Buji, ultimo avamposto alleato verso Est. Una "fortezza Bastiani" nella quale però il nemico si fa vedere e sentire regolarmente e dove a Capodanno venne ucciso il caporalmaggiore Matteo Miotto.

In questo settore sono stati uccisi sei degli ultimi sette caduti italiani in Afghanistan e i parà della 15a Compagnia hanno combattuto duramente anche sabato notte, senza registrare feriti, quando una cinquantina di soldati su una decina di Lince che avevano preso contatti con i capi di un villaggio sono stati attaccati da almeno una trentina di miliziani appostati nei pressi delle case, per farsi scudo dei civili e inibire il fuoco dei mortai italiani e dei jet alleati.

«Eravamo in stazionamento notturno con i veicoli in cerchio in attesa dell'alba, quando avremmo dovuto incontrare i notabili del villaggio di Lattay Bala» ci racconta il maresciallo D.L. appena rientrato dalla missione. «Erano circa le 22 e 30 quando dal punto d'osservazione, su una collina circostante, ci hanno segnalato il movimento di una trentina di uomini mentre nel villaggio tutte le luci venivano spente. Abbiamo inviato i Raven (piccoli velivoli teleguidati dotati di telecamera, ndr) per tenerli d'occhio e intorno alle 24 sono iniziati i primi colpi di armi automatiche ai quali abbiamo risposto con le mitragliatrici dei blindati Lince prima di sganciarci verso Nord» precisa il maresciallo L.C.

Gli insorti hanno però lanciato un secondo attacco impiegando lanciarazzi Rpg e mortai leggeri. «Fortunatamente molti razzi non sono esplosi ma noi conoscevamo bene la loro posizione e la reazione è stata precisa» sottolinea un caporalmaggiore. Nessuno si esprime circa le perdite subite. «Con questi attacchi tentano di impedire l'estensione dell'area di sicurezza istituita dalle truppe italiane e afghane, praticata convincendo la popolazione dei vantaggi offerti dalla collaborazione con Governo e alleati».

I segnali positivi però non mancano. «A gennaio nessuna bambina frequentava la scuola femminile di Kala-i-kuna, villaggio ne pressi della base italiana, dove oggi studiano 200 studentesse - racconta il tenente colonnello Cardea - e per migliorare la sicurezza sono in arrivo altri militari afghani ed è in progetto l'arruolamento di 300 agenti della local police», le milizie di autodifesa dei villaggi finanziate da Washington ma gestite dal ministero degli Interni afghano. Il governatore Qasin Khan ha confermato la presenza tra le montagne del Gulistan di miliziani di al-Qaida, per lo più pakistani, strettamente collegati con la vicinissima provincia di Helmand e basati nel villaggio di Ahmanendab.

Punti sui quali gli alleati esprimono più cautela mentre ad aumentare il consenso popolare alla presenza italiana ha contribuito il soccorso offerto il 21 marzo ai civili colpiti da un ordigno stradale talebano, molti dei quali sono stati evacuati con gli elicotteri. Che la "Valle delle rose", ora piena di campi di oppio appena raccolto, rappresenti un fronte caldo e al tempo stesso uno snodo della strategia anti-insurrezionale nell'Ovest afghano lo dimostra anche la presenza nella Fob Ice di un maggiore Usa. Con il compito di offrire consigli e relazionare il generale Petraeus sull'andamento delle operazioni.

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