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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 19:06.

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«Il fatto che ci stiamo parlando significa due cose. Che il governo vuole lasciarsi qualche porta aperta e che il servizio telefonico birmano funziona meglio» dice Aung San Suu Kyi. «Il fatto che non ci si possa incontrare di persona significa che le cose non sono cambiate».

In realtà il sistema telefonico birmano non funziona molto bene, perché la linea era disturbatissima, o forse sorvegliata. Quella breve telefonata tra un gruppo di giornalisti di base a Bangkok e Aung San Suu Kyi, leader e simbolo dell'opposizione birmana, premio Nobel per la pace, era una telefonata d'auguri. Domenica 19 giugno, Daw, la Signora compie 66 anni. Ne ha trascorsi 12 agli arresti. È stata liberata il 13 novembre scorso e da allora è sotto stretta sorveglianza.

«Il significato politico della mia liberazione è abbastanza semplice: il governo birmano voleva dimostrare che, a modo suo, segue le regole. Ma è accaduto solo perché il focus dell'opinione pubblica mondiale era concentrato su di me. Voglio ricordare che in questo momento che ci sono oltre duemila prigionieri politici nelle carceri birmane». Organizzata dall'Asean Inter-Parliamentary Myanmar Caucus, gruppo di parlamentari dei paesi dell'Asean (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale) impegnati nel processo di democratizzazione birmana, quella telefonata, pur tra continue interferenze, ha permesso di ascoltare una bella voce di donna. Con tono deciso, a volte divertito, riaffermava il suo impegno.

«È mio dovere incontrare la gente che vive fuori Rangoon» (ex capitale della Birmania) ha detto, confermando la volontà di un viaggio nelle regioni vicine, probabilmente anche nel Delta dell'Irrawaddy, devastato dal ciclone Nargis nel 2008. Non sembra sfiorata dal pensiero che nel 2003, durante un viaggio compiuto in un brevissimo periodo di libertà, avessero tentato di assassinarla. Per poi arrestarla nuovamente come pericolo per la pace nazionale. Nel 1995 il treno per Mandalay, nel nord della Birmania, dove lei aveva prenotato un posto, fu fatto deragliare.

Altrettanto decisa la sua risposta circa la sorte della National League for Democracy (NLD), il suo partito. «Continuiamo e continueremo ad agire come un partito politico, una forza politica d'opposizione. Crediamo sia necessario fare di tutto affinché le differenze politiche si risolvano in maniera politica». Parole scontate in gran parte del mondo, ma che in Birmania sono una sfida. La NLD, infatti, è stata sciolta per aver boicottato le elezioni farsa di novembre e perché ha lei quale leader. Continuare ad agire come partito, secondo il governo birmano, potrebbe essere considerato una forma di sedizione da contrastare con l'Emergency Act, strumento legale con cui Tatmadaw, le forze armate, mantiene le leve del potere anche nel nuovo regime "civile". Senza contare, a quanto dicono, che il primo presidente della Repubblica dell'Unione di Myanmar (così è stata ribattezzata la Birmania), il generale Thein Sein, ritiratosi dall'esercito alla vigilia delle elezioni, sembra detestare la sua immagine quanto il popolo l'ha trasformata in icona.

In questo momento, tuttavia, il governo birmano è costretto a seguire "il ruolo della legge", come dice la stessa Aung San Suu Kyi, proprio perché vuole ottenere una legittimazione internazionale. Senza contare che l'amministrazione Usa ha fatto capire che la sicurezza della Signora sarà decisiva per l'eventuale ritiro delle sanzioni economiche. Da questo punto di vista anche Aung San Suu Kyi s'è dichiarata disponibile. «La lista delle società e delle persone sottoposte a sanzioni va rivista» ha affermato durante l'intervista telefonica. Puntualizzando: «Alcuni nomi vanno cancellati. E ne vanno aggiunti altri».

In realtà le sanzioni economiche non si sono rivelate efficaci: il governo continua ad alimentarsi con le vendite di gas e petrolio, mentre l'isolamento dall'Occidente lo ha spinto nella sfera d'influenza cinese. Ma i business in cantiere, tra dighe, porti, condotte e strade, richiedono un minimo di stabilità sociale e il contenimento dei conflitti etnici, che negli ultimi tempi si sono riaccesi con violenza. Alcuni nei territori Kachin, proprio al confine cinese. Tutti problemi che gli ex generali di Naypyidaw, la nuova capitale-bunker nel centro del paese, vorrebbero vedere risolti entro il 2014, quando hanno richiesto di assumere la presidenza di turno dell'Asean. «Meglio aspettare il 2016» dice la Signora. «Che fretta c'è'?».

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