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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 06:37.

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Call center. Una scena del film "Tutta la vita davanti"Call center. Una scena del film "Tutta la vita davanti"

«Cours camarade, le vieux monde est derrière toi». Corri ragazzo, il vecchio mondo ti sta dietro. Quanti giovani d'oggi vorrebbero sentire questo slogan del Maggio francese per cancellare i contorni deformati di un presente incerto. Ripescare nella scatola della memoria uno dei motti simbolo della protesta giovanile di oltre 40 anni fa, per uscire dalle sabbie mobili di oggi.

Senza lavoro e con titoli di studio spesso "inutili" sognano una casa e magari dei figli, ma restano fino alla soglia degli "anta" accampati in casa di mamma e papà. Il parallelo con i propri genitori è impietoso: rispetto agli anni Settanta oggi il tasso di occupazione dei giovanissimi con meno di 25 anni si è dimezzato, mentre la disoccupazione è triplicata (e addirittura quintuplicata tra gli under 35). Per non parlare dell'inattività, oggi oltre il 70%, quasi il 15% in più rispetto a 40 anni fa.

Il centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore ha messo a confronto l'identikit delle nuove generazioni bloccando il fermo immagine su tre tappe: 1971, 1991 e oggi. «L'invecchiamento della popolazione è sotto gli occhi di tutti - osserva il ricercatore Michele Pasqualotto -: i giovani tra i 15 e i 24 anni sono ormai poco più del 10%: mentre nel 1971 gli anziani erano la metà dei giovani, ora sono una volta e mezza».

Nonostante siano molti di meno rispetto al passato, la difficoltà a trovare un'occupazione si mantiene su livelli record. «È questa la grande anomalia - spiega Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all'Università Cattolica di Milano - che evidenzia come la domanda sia scarsa e le retribuzioni basse». Gli stipendi degli under 30 al primo impiego superano di poco gli 800 euro mensili, secondo Datagiovani, e ristagnano da oltre un decennio al di sotto dei livelli degli anni Ottanta.
Insomma, il fatto di essere in pochi non migliora le condizioni d'ingresso, anzi. Le cause? «Prima di tutto la crisi economica - risponde Campiglio - che ha ristretto le opportunità d'impiego soprattutto per i giovani, ma anche una struttura legislativa specchio di una realtà storica e di mercato generata dal baby boom che ormai non esiste più».

E poco conta che i giovani di oggi siano sempre più qualificati, con i diplomati triplicati rispetto al 1971 e i laureati passati dall'1% al 15 per cento. «Le aspettative di trovare un impiego in linea con il proprio curriculum - sottolinea il giuslavorista Michel Martone - si scontrano con l'offerta di contratti a tempo, spesso a bassa qualificazione: così aumentano lo scoraggiamento e l'inattività». La generazione Neet (Not in education, employment or training) conta ormai 2 milioni di proseliti. «Mentre negli anni Settanta i giovani lavoravano presto, si sposavano e avevano figli prima dei 30 anni - aggiunge Martone - oggi è l'esatto contrario: si studia di più, ci si laurea tardi, si rinvia l'uscita dalla famiglia d'origine e non si fanno più bambini».

La percentuale di 25-34enni che vive ancora con mamma e papà è passata dal 10% al 30% del '91, per "esplodere" al 41,5% di oggi e l'età del primo matrimonio è aumentata di sei anni rispetto al 1971. «In passato i giovani apportavano un contributo economico positivo alla famiglia - rileva il sociologo Enrico Finzi -, la situazione attuale è invece di emergenza: le famiglie erodono i risparmi per mantenere i figli, destinati così a perdere la propria eredità. Il rischio povertà è sempre più incombente, non solo tra le i nuclei monoreddito del Sud ma anche al Nord, dove si assistono a fenomeni di downgrading sociale». A certificare la caduta della condizione economica delle famiglie sono i numeri: -2,9% la spesa media mensile familiare dal 2002 al 2009, con un calo quasi triplo (-8,1%) tra i single under 35 e del 6% tra le coppie giovani senza figli.

«È la fotografia di un Paese - commenta Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss - che ha smesso di progettare. I ragazzi di oggi si trovano impantanati in un contesto difficilmente leggibile: negli anni Settanta si viveva ancora sull'onda del Sessantotto, con tanta voglia di mettersi in gioco per cambiare le cose. Vent'anni dopo è iniziato il declino, lo yuppismo ha portato a un imborghesimento, a un'assuefazione al benessere da difendere a ogni costo, che ha prodotto conseguenze negative fino a oggi».

Che fare dunque per uscire dal guado? «Bisogna insegnare ai ragazzi a intraprendere, a cercare la propria strada - risponde Celli -: la scuola non si può limitare a insegnare concetti, deve trasferire competenze». Ma non basta. «Servono incentivi alle retribuzioni legati al merito, insieme a una defiscalizzazione per i più giovani, oltre a una fiscalità di vantaggio alle lavoratrici madri» suggerisce Martone. Politiche strutturali «che guardino lontano - conclude Campiglio - per allentare quel freno a mano tirato che impedisce ai giovani italiani di crescere ed emergere in tempi rapidi».

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