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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 06:36.

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A volte basta davvero poco per evitare di passare dalla ragione alla vessazione. È questione di buona fede. Il fisco deve fidarsi di chi ha di fronte, anche se è debitore nei suoi confronti. L'articolo 10 dello Statuto del contribuente lo sancisce a chiare lettere: «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede». O forse è anche una questione di buon senso.

Un commerciante barese ha sperimentato sulla sua pelle quanto l'agente della riscossione non abbia avuto né l'una, né l'altro. A inizio dicembre 2009 ha chiesto la rateazione delle somme iscritte a ruolo. Dodici giorni dopo, mentre aspettava una risposta, ha ricevuto un'altra comunicazione: Equitalia gli aveva iscritto un'ipoteca su un immobile per oltre 267mila euro (a fronte di una cifra pari alla metà per cui era stato chiesto il pagamento in più tranche). Ma non è finita, perché un mese e mezzo dopo – siamo a fine gennaio 2010 – il concessionario gli concedeva la rateazione.

A questo punto, il contribuente ha presentato ricorso alla Commissione tributaria di Bari che gli ha dato ragione (la sentenza è di pochi giorni fa). In primo luogo perché iscrivere l'ipoteca sull'immobile di proprietà va contro la normativa sulla rateazione dei debiti tributari, in base alla quale non è richiesta alcuna garanzia a tutela del credito. Allo stesso tempo, poi, il comportamento tenuto «compromette un rapporto di fiducia – spiegano i giudici – tra amministrazione finanziaria e contribuente». Già questo basterebbe, ma oltre alla buona fede c'è dell'altro. Anche perché la richiesta di rateazione era stata avanzata proprio per evitare conseguenze negative per l'attività commerciale.

Invece «l'iscrizione di un'ipoteca ha comportato per il ricorrente – scrive la sentenza – un grave danno all'immagine nel contesto relazionale sociale e soprattutto un incalcolabile danno economico». Di fatto il proseguimento dell'attività è stato pregiudicato «dall'impossibilità di accesso al credito che soprattutto per un piccolo imprenditore è linfa vitale in particolare entro l'attuale congiuntura economica internazionale». Più chiaro di così.

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